Il livello di accesso alle cure mediche in Italia è molto diversificato. Da tempo infatti nel nostro paese la competenza sulla salute è demandata alle singole Regioni, e quindi di fatto il Sistema sanitario “nazionale” è composto di un insieme di sistemi sanitari regionali.

La pandemia ha messo in luce alcune delle storture di questa situazione, evidenti soprattutto in Lombardia dove il regime del privato convenzionato è ormai sempre più centrale, e dove non è infrequente trovarsi nella condizione di doversi rivolgere a cliniche private, a meno che non si vogliano attendere mesi o anni per un singolo esame. La tendenza non è in atto solo in Lombardia, ma dovunque si stiano diffondendo interessi privati nel comparto sanitario, spesso con il favore dei decisori politici.

Questo dà vita a livelli di assistenza molto diversi tra loro, perché se l’obiettivo di una sanità realmente pubblica è offrire cure e assistenza per tutti e allo stesso livello, i privati hanno interesse a che i propri investimenti diano il massimo rendimento. Non c’entrano solo i privati ovviamente, ma anche la capacità di gestione da parte delle istituzioni mediche e politiche territoriali.

L’estrema diversificazione dei livelli di assistenza sul territorio nazionale è ben evidenziata dal caso delle cure offerte alle persone con disabilità. Queste ultime sono spesso costrette a uscire dalla propria regione per trovare servizi adeguati alle loro esigenze, o a rivolgersi a più strutture sanitarie per ricevere trattamenti adeguati. Una situazione che, come Anffas denuncia, «riguarda anche e soprattutto le persone con disabilità intellettive e con disturbi del neurosviluppo, persone con disabilità spesso multiple, che hanno difficoltà a comunicare i loro bisogni specifici o ad adattarsi a un ambiente sanitario spesso poco comprensivo e pronto ad accogliere nella modalità adeguata chi ha queste determinate problematicità».

Su tutto questo incombe il disegno di legge da poco approvato dal governo sulla cosiddetta autonomia differenziata, che dovrebbe portare (a valle di una serie di lunghe e tortuose procedure) a un’autonomia ancora maggiore per le regioni, che potrebbe investire anche il settore sanitario.

Da alcune settimane su QuotidianoSanità si è aperto un dibattito che ha visto diversi professionisti del settore confrontarsi sui temi più critici attualmente in discussione. Così li sintetizza Ornella Mancin, presidente della Fondazione Ars Medica-Omceo Venezia:

  • «un carico burocratico che sta distruggendo la professione,
  • la carenza di personale sanitario che ci costringe sia che si lavori in ospedale che si lavori nel territorio a carichi di lavoro ormai intollerabili,
  • una continua e progressiva esternalizzazione dei servizi che rende il lavoro in sanità sempre meno competente e più rischioso per la salute dei cittadini,
  • stipendi poco dignitosi a fronte di cifre esagerate elargite alle cooperative esterne che forniscono personale spesso poco qualificato,
  • l’aumento di aggressività dei pazienti che spesso frustrati nelle loro richieste esprimono il loro carico di rabbia verso chi li cura perché rappresentano l’unico “front-office” verso cui ci si può scagliare,
  • la percezione chiara che tutto ciò non interessa i decisori politici che stanno lasciando che lo sfascio si avveri».

(Foto di Pavel Danilyuk su Pexels)

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