È dovuta intervenire la Corte europea dei diritti umani affinché qualcosa si muovesse nel caso di due detenuti torturati durante il loro periodo di reclusione nel carcere di Asti. Il 23 novembre l’organo europeo ha accolto il ricorso dei due richiedenti, stabilendo che i maltrattamenti subiti costituiscono tortura, ai sensi della Convenzione Onu. Peccato che tale Convenzione non abbia trovato applicazione in Italia (l’abbiamo denunciato più volte). Dal 2013 Camera e Senato si rimpallano un disegno di legge, che viene continuamente modificato dalle Commissioni competenti e quindi non arriva mai al momento della votazione in aula e conseguente approvazione.
Uno può prendersela col bicameralismo perfetto, ma evidentemente c’è una volontà politica di non arrivare al dunque con questa legge, che è sempre più necessaria. Il caso in questione avrebbe avuto infatti un iter giudiziario ben diverso se i reati commessi fossero stati inquadrati come atti di tortura. Partendo dal comunicato diffuso lunedì da Amnesty Italia, ricostruiamo i fatti accertati: «Il 10 dicembre 2004 due detenuti vennero denudati, condotti in celle di isolamento prive di vetri nonostante il freddo intenso, senza materassi, lenzuola, coperte, lavandino, sedie, sgabello, razionandogli il cibo, impedendogli di dormire, insultandoli e sottoponendoli nei giorni successivi a percosse quotidiane anche per più volte al giorno con calci, pugni, schiaffi in tutto il corpo e giungendo, nel caso di uno dei due, a schiacciargli la testa con i piedi».
Il rinvio a giudizio per gli indagati arrivò sei anni dopo, nel 2011, e la prima sentenza l’anno successivo. In ogni caso, praticamente non ci furono conseguenze per i colpevoli, nonostante l’accertamento dei fatti: «Per nessuno dei responsabili si arrivò a condanna, in quanto non esistendo il reato di tortura, si procedette per reati di più lieve entità arrivando, nel caso di due, a prescrizione, mentre per altri due indagati l’assoluzione arrivò per motivi procedurali. Il giudice comunque mise nero su bianco che i fatti, pur qualificandosi come tortura ai sensi della Convenzione Onu contro la tortura, non potevano essere perseguiti come tali poiché in Italia non esiste una legge che riconosca il reato di tortura». La ricostruzione della vicenda mette in evidenza l’urgenza di approvare il provvedimento il prima possibile, affinché il muro di impunità che si alza non appena si verificano casi del genere inizi a essere scalfito.
L’altra notizia legata al pronunciamento della Corte europea è il fatto che il governo italiano ha proposto una “composizione amichevole” della controversia, offrendo un risarcimento di 45mila euro a ciascuno dei due ricorrenti. Al di là del fatto che questi decidano di accettare o meno, che esula dal dibattito pubblico, è paradossale che lo Stato proponga un risarcimento alle vittime dopo un regolare processo. Ossia un procedimento che si è svolto nel rispetto delle leggi dello Stato, per le quali i due detenuti non hanno diritto a uno spicciolo e i colpevoli non devono scontare alcune pena. Si è dovuti ricorrere a un organo esterno, sovranazionale, per ottenere che lo Stato si muovesse, appoggiando di fatto una posizione diversa da quella uscita dai tribunali. Un esempio lampante (e stavolta dalle conseguenze positive) della cessione di sovranità implicata dal fare parte dell’Unione europea.
Visto che facciamo parte anche dell’Onu, perché non decidersi a dare corso alla Convenzione che il giudice incaricato per questa vicenda ha voluto richiamare nelle motivazioni della sentenza? Che poi non ci sarebbe neanche bisogno di fare riferimento a documenti estranei al nostro ordinamento per arrivarci. L’articolo 27 della Costituzione, al comma 3, stabilisce che la pena detentiva «non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Sul calco di questo comma è stata concepita la legge penitenziaria del 1975, che all’articolo 1 specifica che il trattamento del detenuto dev’essere conforme «ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona». Quanto è “umano” un Parlamento che continua a passarsi la palla sul reato di tortura, permettendo che fatti anche gravi possano essere “smontati” in tanti piccoli reati di minor conto, che poi si prescrivono come nel caso di Asti?
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