Una settimana fa, il Parlamento europeo ha approvato alcune misure in tema di privacy, tra cui il Pnr (Passenger name record), che dovrebbero garantire maggiore sicurezza rispetto a possibili progetti terroristici nei Paesi dell’Unione. Purtroppo si tratta di un dispositivo che probabilmente costerà molto e servirà a poco, perché i problemi di sicurezza nel continente non riguardano tanto la raccolta di dati, quanto la loro condivisione tra gli Stati. Il Pnr prevede la raccolta obbligatoria, da parte dei membri dell’Ue, di tutti i dati riguardanti i passeggeri di voli su tratte che riguardino Stati al di fuori dell’Unione. I singoli Paesi potranno decidere se estendere la raccolta di informazioni anche ai voli nazionali. Tutto questo non sarà quindi attuato istituendo un grande database centrale, al quale gli Stati membri possano accedere e inserire dati, bensì istituendo singole banche dati – dette “Unità di informazione sui passeggeri” – in ogni Paese. Come tutte le direttive del Parlamento europeo, anche questa dovrà essere recepita dai singoli Stati, che hanno un certo margine di discrezionalità su come applicarla. È stato definito anche un limite temporale alla messa in atto della norma, fissato in due anni. Ma l’istituzione stessa del Pnr è messa in dubbio dal fatto che si attende per il 30 giugno un pronunciamento da parte della Corte europea di giustizia, che già in passato ha condannato la bulk collection, ossia la raccolta indiscriminata di informazioni a fini di tutela della sicurezza.

La dinamica ricorda molto da vicino una versione goffa e “zoppa” del Patriot Act, emanato negli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Come rivelato in seguito dall’informatico Edward Snowden, grazie a quella legge i cittadini americani erano “spiati” in tutte le loro comunicazioni, e i loro dati erano liberamente accessibili a enti quali Nsa, Fbi e Cia, anche in assenza di un mandato (si consiglia la visione del documentario Citizenfour, che racconta l’uscita allo scoperto di Snowden). In Europa si cerca di scopiazzare la controversa legge americana istituendo un sistema di controlli a tappeto, piuttosto che promuovere la collaborazione tra le intelligence dei diversi Paesi o proporre l’istituzione di un organo di intelligence europeo. È proprio questo infatti il problema principale per la sicurezza dell’Ue: ogni Stato ha le proprie agenzie di sicurezza, ma manca un database condiviso e un protocollo di collaborazione che possano permettere di seguire le tracce di soggetti sospettati e prevenire le loro mosse.

Il controllo indiscriminato potrà certo offrire l’illusione di un “controllo totale” sulla popolazione, ma non renderà l’Europa più sicura. A perderci, ovviamente, saranno i cittadini, che vedranno diminuita la propria privacy dato che, anche solo dagli spostamenti effettuati e dai dati connessi al Pnr, le autorità potranno ricostruire molto delle loro vite. Ciò che si fa finta di ignorare è che, per esempio nel caso di Bruxelles e Parigi, molti dei partecipanti all’organizzazione e all’attuazione degli attentati erano già nella lista dei sospettati di alcuni Paesi. Se ci fosse stata maggiore collaborazione e condivisione di dati tra gli Stati membri, forse queste stragi si sarebbero potute evitare. Come scrive il Post, riportando informazioni da articoli di quotidiani statunitensi: «In Europa ci sono ancora troppe agenzie di intelligence e troppi database di raccolta dati dei sospettati. Molti di questi database sono incompleti o inaccessibili per le stesse autorità, ha raccontato [Adam] Nossiter sul New York Times. Per esempio un database fondamentale è lo Schengen Information System (Sis), che però è sostenuto e aggiornato solo dalle intelligence di alcuni Paesi membri – come quella francese – e per lo più ignorato dalle altre. L’Europol, l’agenzia di polizia europea, ha detto che circa 5mila cittadini dell’Unione europea si sono radicalizzati e sono andati a combattere in Siria e Iraq unendosi a vari gruppi jihadisti, tra cui lo Stato islamico. Il database dell’Europol contiene però solo 2.786 nomi di foreign fighters: secondo Guido Sternberg dell’Institute for International and Security Affairs in Germania, “il problema più grande dipende dai diversi livelli di professionalità tra i servizi di sicurezza in Europa. Abbiamo un grande numero di Stati ben equipaggiati, come la Francia e il Regno Unito, qualche stato più debole, come la Germania, e degli Stati che sono completamente sopraffatti dagli eventi, come il Belgio”. Un altro database contiene 90mila impronte digitali ma non prevede alcuna possibilità di trovare informazioni con un “cerca”».

Come ha detto all’Ansa Giovanni Buttarelli, garante europeo della privacy, il Pnr è «un’icona politica del fare qualcosa». Ma talvolta, più ci si agita nell’intento di dimostrare di essere è all’altezza dei problemi che si devono affrontare, più si manifesta tutta la propria impreparazione.

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