Il 22 gennaio 11 Paesi, tra cui l’Italia, si sono accordati per l’introduzione di una Tobin Tax europea. Già nella legge di Stabilità approvata a settembre era previsto un meccanismo di tassazione sulle transazioni finanziarie, ed era esplicita anche allora l’intenzione di introdurlo da parte di un piccolo club di Stati (formato da Germania, Francia, Italia, Spain, Austria, Portogallo, Belgio, Estonia, Grecia, Slovacchia e Slovenia). Ora però è arrivata l’autorizzazione da parte dei ministri dell’Economia dell’Unione europea. «Per la politica fiscale europea questo passo è una pietra miliare, perché apre la strada agli stati membri più ambiziosi che vogliono progredire nella collaborazione in materia di tassazione anche se non c’è unanimità», ha dichiarato al Guardian Algirdas Šemeta, Commissario europeo per le politiche fiscali. Su posizioni contrapposte gli altri Stati, su tutti il Regno Unito, che non ha mai nascosto la sua avversione verso questo tipo di misura.

Resta da capire cosa si farà dei fondi raccolti dal versamento del tributo. Secondo l’articolo pubblicato da Internazionale «Non è ancora chiaro in che modo saranno usati i proventi della Tobin tax, ma potrebbero finire in un fondo della Commissione europea per aiutare le banche in difficoltà». Questa possibilità, sinceramente, ci sconcerta. Ci rendiamo conto di quanto sia difficile esprimere giudizi su materie di questo tipo, ad alto grado di tecnicità. Ma ci sembra strano che uno strumento fiscale volto a combattere la speculazione finanziaria possa contribuire a creare un fondo per finanziare gli istituti che si sono distinti per la loro abilità nell’eludere i controlli e aggirare la legge (vedi i vari scandali Libor, Euribor, e non ultimo quello del Monte dei Paschi di Siena). Ci sono tante altre destinazioni possibili che ci sembrano più interessanti di quella di cui si parla in questi giorni.

Per esempio, si potrebbe usare il fondo per contrastare l’evasione fiscale, o per finanziare ammortizzatori sociali contro la disoccupazione. Oppure ancora potrebbero andare in aiuto a chi, con un mutuo sulla casa, si trova nella condizione temporanea di non poter pagare le rate, evitando così azioni di sfratto e assicurando alle banche la riscossione del credito. Secondo il Guardian si stima che dalla Ttf (tassa sulle transazioni finanziarie) si possano raccogliere 35 miliardi di euro l’anno. Si potrebbe pensare di investirli in parte anche nel sociale, finanziando politiche di scambio di esperienze tra i Paesi membri: un servizio civile europeo, il rifinanziamento dell’Erasmus e altri progetti di studio (o anche di lavoro) all’estero.

Non ce l’abbiamo con le banche in quanto istituzione. Ci sono tanti istituti che fanno un ottimo lavoro per la propria comunità di riferimento. Anzi, sarebbe saggio che tutti spostassimo i nostri soldi dai grandi gruppi nazionali e internazionali alle banche meno legate a prodotti finanziari e più dedite alla concessione di credito alle aziende, condizione base per la creazione di sviluppo e quindi di posti di lavoro. I motivi che stanno alla base delle difficoltà economiche delle banche generalmente non sono di tipo economico, ma di tipo finanziario. A maggior ragione, una tassa concepita per combattere la speculazione non può servire a soccorrere chi di tale fenomeno è stato protagonista attivo.