Finché la barca va, lasciala andare, diceva la canzone. Ma quando si tratta di 30mila imbarcazioni che improvvisamente decidono di lasciare il posto barca italiano per uno straniero, prima facciamoci qualche domanda. Tra gli apprezzabili blitz della Guardia di Finanza operati sotto le direttive del governo Monti, uno manca all’appello, e sarebbe bene farlo subito: quello ai protagonisti di questa migrazione di massa. La motivazione ufficiale? All’estero il costo di stazionamento è minore, perché le tasse sono più basse.

«A preparare la grande fuga -scrive Giulia Ziino sul Corriere del 13 luglio- era stato, a dicembre, l’annuncio del varo della tassa di stanziamento, imposta agli scafi superiori ai 10 metri per stazionare in acque italiane. Una norma poi mitigata e trasformata, a fine marzo, in una tassa di possesso per i soli armatori italiani». Consultando le tariffe della tassa, introdotte dal “decreto salva Italia” e in vigore dal 1o maggio, emerge qualche perplessità. Per una barca lunga fino a 12 metri, il contributo da versare è di 800 euro. Niente di che, dato che stiamo pur sempre parlando di un’imbarcazione che costituisce un bene di lusso. Ma il discorso vale anche se raddoppiamo la lunghezza, e saliamo fino alla soglia dei 24 metri: qui infatti la tariffa si attesta a 4.400 euro. Considerando i consumi e la capacità del serbatoio di questi autentici colossi del mare, ci sembra una spesa che non giustifica in alcun modo uno spostamento all’estero dell’imbarcazione, operazione che crea più disagi che risparmio.

Tutto sommato la pressione fiscale nei confronti dei cittadini più ricchi è piuttosto timida. Ma non vorremmo che lo fosse altrettanto la volontà di controllare se queste persone hanno qualche problema col fisco italiano o meno, e se non sia quest’ultima questione a indurli a mollare gli ormeggi, piuttosto che una tassa irrisoria (per loro). È una nostra supposizione, e come sempre attendiamo di essere smentiti. Ma dalle autorità, non dalle chiacchiere. Ora questi lupi di mare e (da poco) grandi risparmiatori sono facilmente intercettabili, perché il fenomeno riguarda grandi numeri. Ma poi, a manovre fatte, lo saranno sempre meno. Quindi non c’è da perdere tempo. E non ce ne vogliano i proprietari di barche, grandi o piccole, perché non ce l’abbiamo con nessuno. Del resto chi è in regola non ha nulla da temere dai controlli, perché non potranno che concludersi con esito positivo. Chi invece solca i mari su yacht delle dimensioni di una villetta, salvo poi dichiarare un reddito paragonabile a quello di un operaio in cassa integrazione, dovrà dimostrare da dove gli arrivano i soldi con cui fa il pieno, oppure pagherà. Niente di speciale, insomma. Anzi, è proprio di normalità che ha bisogno il Paese per uscire dal clima di emergenza continua che lo avvolge e lo strozza.