Quest’anno ricorrono i 200 anni dall’invenzione che più di tutte (secondo alcuni) ha aiutato l’emancipazione femminile nella storia: la bicicletta. Quella battezzata nel 1817 dall’inventore tedesco Karl Drais era un mezzo molto diverso dall’idea di bici che abbiamo oggi. Tanto per cominciare non aveva i pedali, né i freni. Il guidatore doveva appoggiare direttamente i piedi a terra per dare propulsione e per frenare. Però almeno aveva lo sterzo. Passeranno alcuni decenni prima che, nella seconda metà del 1800, qualcuno proponga un’invenzione in grado di avvicinarsi maggiormente alla bicicletta odierna. Il biciclo (quello con la ruota anteriore molto grande e quella posteriore molto piccola) fu inventato infatti nel 1869 dal francese Eugène Meyer e in seguito sviluppato in Inghilterra da James Starley, come spiega un video di Vox. Il suo modello prese il nome di penny-farthing, perché il rapporto tra le due ruote richiamava le dimensioni delle due monete diffuse all’epoca (il penny e il farthing, appunto). In questa fase, le donne erano ancora tagliate fuori dalla corsa, perché i vestiti diffusi all’epoca impedivano loro di accomodarsi sull’alto sellino e azionare i pedali, collegati direttamente alla ruota.

La svolta avvenne nel 1885, quando un nipote dell’inventore del biciclo, John Kemp Starley, inventò la Rover Safety Bicycle, ossia la prima bicicletta rispondente all’immagine che colleghiamo oggi al termine. La parola “safety” si riferisce al fatto che, riducendo le dimensioni della ruota anteriore e introducendo un sistema di trasmissione dai pedali alla ruota posteriore, il mezzo si fece decisamente più sicuro e manovrabile rispetto al biciclo. In pochi anni, la bicicletta diventò un mezzo di trasporto molto diffuso in vari Paesi. Si ha notizia di due milioni di bici vendute negli Stati Uniti nel 1897.

Nello stesso periodo anche le donne cominciarono a essere attratte dal nuovo mezzo, e in questo vi fu un incontro tra moda e necessità. La diffusione dei bloomers, una sorta di calzoncini sportivi da donna, fu un passaggio fondamentale per garantire anche alle donne la possibilità di cavalcare la bicicletta con comodità. Come sempre è accaduto nella storia dell’emancipazione femminile, ogni novità che le spingesse verso l’indipendenza (in questo caso la mobilità) era vista con sospetto dalla società maschilista.

Agli uomini non piaceva che le donne usassero la bici, si diffusero addirittura indicazioni mediche che mettevano in guardia sul fatto che la pratica poteva causare nella donna depressione, palpitazioni e un fenomeno denominato “faccia da bicicletta” (una commistione di sintomi variabili dal rossore al pallore, occhi cerchiati, pelle raggrinzita, occhi sporgenti, aspetto esausto in generale, ecc.). Tra il 1894 e il 1895 avvenne poi un episodio molto importante nella storia che lega la bicicletta all’emancipazione femminile.

Alcuni uomini d’affari di Boston lanciarono una scommessa, mettendo in palio la cifra di 10mila dollari alla donna che fosse riuscita a fare il giro del mondo in bicicletta. La cifra era talmente folle per l’epoca (oggi corrisponderebbe a circa 275mila dollari) che più che una scommessa era un modo per dire che la cosa era semplicemente impossibile. I fatti gli diedero torto, visto che nello stesso anno Annie Londonderry (americana di origini lettoni) accettò la sfida e portò a termine l’impresa nel 1895, a 15 mesi dalla partenza. Nel frattempo, i movimenti femministi avevano iniziato a incorporare l’uso della bicicletta come elemento del loro processo di emancipazione, tanto che negli anni seguenti si diffuse lo slogan “Le donne vanno a votare in bici”.

L’avvincente storia della diffusione della bicicletta non è ancora finita in alcune zone del mondo. Come ha ricordato recentemente un articolo del Guardian (ripreso dal Post), in Iran la donna in bici è ancora vista come una “minaccia per la morale”. Seppure non ci sia una legge che ne vieti l’utilizzo, di fatto avvengono tuttora arresti per questa ragione. Il paradosso è che in alcune aree del Paese si stanno diffondendo movimenti ambientalisti (spinti anche dalla politica) per la diffusione della mobilità sostenibile, che incoraggiano esplicitamente a usare la bici invece dell’auto. Nonostante questo le stesse autorità hanno poi arrestato delle donne, rilasciandole solo dopo la promessa di rispettare la “norma” sull’uso della bici. La situazione è diversa nelle città più grandi, dove invece le forze dell’ordine hanno un atteggiamento diverso ed è normale vedere donne spostarsi autonomamente in bicicletta. La storia della bicicletta e dell’emancipazione femminile, dunque, non è ancora finita.

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