La parola chiave di questa prima parte di campagna elettorale è già stata decretata: abolire. In uno spettacolo che la dice lunga sulla capacità dei partiti di oggi di avere una visione del futuro e trasmetterla ai cittadini, le proposte di riforma che si sentono ripetere in questi giorni sono volte principalmente a smantellare, piuttosto che a costruire. Ci perdonerete se in negli ultimi post stiamo calcando la mano più del solito sull’argomento, ma vogliamo dare il nostro contributo per fare in modo che sia compresa la sostanziale irrealizzabilità di molte proposte avanzate fin qui. O comunque ci piacerebbe che poi, a elezioni avvenute, ci si ricordasse di queste promesse, quando saranno rimandate più e più volte, finché il tempo non farà il suo lavoro nel cancellarne la memoria. Perché uno dei paradossi del nostro tempo, così intriso di tecnologia e memorie digitali, è che non c’è stato nessun avanzamento nella presa di coscienza dell’opinione pubblica sull’inconsistenza degli slogan, e su come questi vengano ripetuti, con minime varianti, a distanza di anni. Memorie digitali e memoria collettiva non sono cresciute di pari passo.
Uno degli equivoci nel dibattito politico italiano degli ultimi anni, è che si è individuato il male nella democrazia rappresentativa, che delega a una élite l’esercizio del potere legislativo ed esecutivo. Di qui la delegittimazione in toto della classe politica, che ha avuto l’effetto di mettere sullo stesso piano tutti, onesti e disonesti, competenti e incompetenti, buoni e cattivi. Il problema vero, forse, è invece stato il fatto di rinunciare a informarsi, a seguire i temi e il loro evolversi, a farsi un’opinione ascoltando più voci e non solo quella che urla di più (o quella che conferma ciò che già pensiamo). Più che la delega, è l’esercizio (in eccesso) di questa delega ad avere creato un margine di libertà sempre più ampio nell’azione della classe politica. In questo, visto che di informazione si parla, i media hanno grosse responsabilità. Detto ciò, si può ben comprendere come mai hanno gioco facile gli annunci di questi giorni sui vari “abolizionismi”. «Che non c’entra nulla, ovviamente, con quel movimento che impiegò tre secoli, fino ad Abramo Lincoln, per ottenere la cancellazione della schiavitù: l’Abolizionismo con la maiuscola – scriveva Sebastiano Messina su Repubblica l’11 gennaio –. Quello di oggi è invece un abolizionismo con la minuscola perché non punta alla cancellazione di una sola, colossale ingiustizia, ma ognuno dei suoi protagonisti ha il suo piccolo bersaglio personale, diverso da quello degli altri, eppure tutti sono accomunati da una sola parola, anzi da un verbo: abolire».
Ogni leader politico si è affrettato a proporre la sua “abolizione” personale: dal canone Rai alle tasse universitarie, dal bollo auto alla legge Fornero. Promesse elettorali che, secondo una stima fatta da Roberto Petrini su Repubblica, costerebbero allo Stato 200 miliardi, il 12 per cento del Pil. Un quadro piuttosto allarmante, considerando che l’Italia è un Paese con il debito pubblico tra i più alti al mondo. Al di là di questi numeri (che hanno valore fino a un certo punto, visto che sommano tutte le proposte elettorali fin qui presentate, anche da schieramenti opposti, che quindi non saranno mai realizzate tutte insieme durante la stessa esperienza di governo), ciò che rattrista è il livello del dibattito. Tanto che molti utenti sui social network hanno fatto rimbalzare nei giorni scorsi l’hashtag #abolisciqualcosa, che sa un po’ di ironia e un po’ di noia da fine settimana in pantofole.
Messina prova riderci su, raccogliendo alcune delle migliori trovate condivise dagli utenti: «“Le salite”. “La pubblicità delle ragadi all’ora di pranzo”. “I cinque secondi in cui il ventilatore fa il vento verso nessuno” . “I piatti da lavare” . “Gli zeri dell’iban” . “I jeans con i risvoltini” . “Le doppie punte” . “Il tiramisù con i pavesini”. “I semi nelle angurie”. “I debiti” . “La pizza con l’ananas” . Si comincia così, dalle piccole cose, ma magari si può abolire qualcosa di più importante: “Il lunedì”. Di fondamentale: ” La legge di gravità” . Di definitivo: “La morte” . Ma c’è chi ha capito tutto, e alla domanda su cosa vorrebbe abolire risponde secco, con un tweet di 17 caratteri: “Gli abolizionisti”». Facciamoci pure una risata, ma intanto si sta perdendo l’ennesima occasione di discutere delle questioni davvero importanti per il futuro del Paese, a meno di due mesi dal giorno in cui dovremo decidere a chi affidare il nostro voto.
(Foto di Ognian Mladenov su flickr)