Venerdì 16 marzo è stata varata una riforma del sistema carcerario che estende la possibilità di affidare i detenuti a misure alternative alla semplice detenzione. L’agenzia Redattore Sociale spiega gli aspetti principali delle modifiche introdotte.

Nella seduta numero 74 il Consiglio dei ministri ha varato una parte dell’attesa riforma dell’ordinamento penitenziario, inserita nella Legge Delega (103 del 2017) con cui il 14 giugno dello scorso anno il Parlamento ha affidato al governo il compito di ridisegnare il profilo dell’esecuzione penale italiana. Una necessità in primo piano da tempo, che arriva a 40 anni dall’ultimo intervento in materia, diventata urgenza dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che l’8 gennaio del 2013 aveva condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante nei confronti dei detenuti con la nota sentenza «Torreggiani»: una sentenza definita dagli stessi giudici «pilota» e che per la prima volta affrontava i problemi strutturali del sistema penitenziario nazionale.

«Abbiamo approvato la riforma – ha detto con soddisfazione il ministro della Giustizia, Andrea Orlando al termine della seduta –, una riforma importante che rivede l’ordinamento penitenziario. Non c’è nessun “salva ladri”, noi le pene per i ladri le abbiamo aumentate rispetto a quelle che c’erano e che abbiamo trovato. E non c’è nessuno “svuota carceri”: vedrete che nei prossimi giorni nessuno uscirà sulla base degli automatismi. C’è una norma che dice che si deve valutare il comportamento del detenuto, naturalmente non per tutti i reati: se la persona ha studiato, se ha lavorato, a un certo punto la pena può essere trasformata in un altro tipo di pena, che restituisca qualcosa alla società, anche con il lavoro, risarcendo il danno prodotto con il reato».

«Si tratta – sottolinea Andrea Orlando – di un provvedimento che serve ad abbattere la recidiva. Siamo un Paese che spende quasi 3 miliardi di euro ogni anno per eseguire le pene, ma purtroppo abbiamo ancora un tasso di recidiva tra i più alti d’Europa. Con questo intervento andiamo in un’altra direzione».

Spazi stretti, tempi vuoti, diritti violati nella gestione di una pena che non rispetta la Costituzione perché non lavora sulla possibilità di recupero dei detenuti e sull’esigenza, imprescindibile, di ristabilire un contatto tra i reclusi e la società civile in vista del ritorno in libertà. Questi, in estrema sintesi, i princìpi su cui è stata avviata una riforma che vede in cima alle priorità l’ampliamento delle misure alternative al carcere come unica via per consentire il recupero e il graduale reinserimento dei detenuti. E che, grazie alla felice intuizione del Guardasigilli, principale protagonista della riforma, era riuscita a coinvolgere anche la società civile con la ‘rivoluzione culturale’ denominata Stati generali sull’esecuzione penale.

Tre le commissioni che erano state nominate da Orlando ed altrettante le aree tematiche principali: misure di sicurezza e sanità per la prima, ordinamento minorile per la seconda, ordinamento penitenziario per la terza. Di tutte le proposte prodotte dalle commissioni, solo il troncone principale era riuscito a percorrere l’iter più lungo in vista del voto del 4 marzo e del possibile rovesciamento di fronte, confermato peraltro dai risultati elettorali: quello relativo alla riforma dell’ordinamento penitenziario su cui ha lavorato la squadra di giuristi coordinati da Glauco Giostra, già in passato consulente ministeriale sugli stessi temi.

Ed è questa la parte della riforma approvata oggi: quella che rivede le modalità di accesso alle misure alternative che, fermo restando la discrezionalità dei magistrati e le valutazioni caso per caso, consentiranno a un maggior numero di detenuti di scontare la pena attraverso una serie di misure di comunità che tendono non solo all’esecuzione della sanzione, ma anche al recupero sociale della persona. Garantendo, quando la stessa tornerà libera, più sicurezza e un abbattimento significativo della recidiva.

«Una riforma – sottolinea Glauco Giostra – che si preoccupa di dare effettività alla funzione rieducativa della pena, intesa come la possibilità, attraverso opportunità che vanno meritate da parte del detenuto, di modulare la pena in base al percorso individuale del soggetto. Questo spiega perché non può esserci spazio per gli automatismi. Ogni detenuto ha una storia diversa e ha bisogno di un intervento differente. L’esperienza, non solo italiana, dimostra che non concedere speranze a un detenuto significa rassegnarsi a un maggior indice di recidiva».

Ora il testo sarà inviato nuovamente alle Camere. Le Commissioni avranno dieci giorni di tempo per esprimere un nuovo parere, non vincolante e, ricevuti i pareri (o comunque dopo che siano decorsi i dieci giorni), il Governo potrà dare l’ok definitivo. (Teresa Valiani)

(Foto di Officina Giotto su flickr)