Poco meno di un anno fa, su ZeroNegativo ci occupavamo della famiglia Ligresti. Era il 2 agosto, e si stava perfezionando la fusione fra Unipol e FonSai, un’operazione finanziaria dettata, secondo quanto si diceva già allora, dai debiti della famiglia siciliana verso Mediobanca e Unicredit, che allora orchestrarono la manovra. Ai Ligresti sarebbe inoltre spettata, per il disturbo, una “buonuscita” di 43 milioni di euro. Molto più che due piccioni, ma sempre con una fava: i piccioni li avrebbero presi i Ligresti, la fava l’avrebbero messa gli altri azionisti, quelli piccoli e meno tutelati, che si sarebbero trovati, in nome del salvataggio dell’indebitata FonSai, a dover accettare un’operazione del tutto al di fuori delle normali leggi del mercato. Nessuna offerta pubblica di acquisto (opa), ma solo accordi privati tra le parti. Passa neanche un anno e tutta la famiglia è agli arresti domiciliari. Una notizia “bomba”, alla quale ogni giornale sta dedicando le prime pagine, come fosse caduta dal cielo del tutto imprevista. Proprio così non è, ci viene da dire, se anche il blog di un’associazione di volontariato come il nostro, nel suo piccolo, si era permesso di alzare l’indice per dire che forse c’era qualcosa che non andava in tutta la vicenda. Ci sarebbe piaciuto avere torto, come sempre quando si parla di malaffare e finanza, ma i fatti ci danno invece ragione.

«Secondo gli inquirenti -scriveva ieri il sito del Sole 24 Ore-, la famiglia Ligresti, attraverso la holding di famiglia Premafin su cui indaga la Procura di Milano, si sarebbe assicurata un flusso costante di risorse, grazie ai dividendi, al riconoscimento di consulenze negli anni per oltre 40 milioni e grazie a una serie di operazioni immobiliari “con parti correlate”. Sei, in totale, quelle individuate dagli inquirenti, tra le più note quella per l’acquisizione della catena Atahotel. L’effetto, ha ribadito il procuratore Nessi, è stata la perdita di credibilità della compagnia stessa e il danno a carico dei piccoli soci, quantificato in circa 300 milioni di perdita di valore del titolo in Borsa». L’interesse maggiore della famiglia era quindi rivolto a se stessa, o al limite a qualche illustre collaboratore, come Piergiorgio Peluso, figlio dell’allora ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, liquidato a ottobre 2012 con 3,6 milioni di euro.

«Negli ultimi due anni le perdite di FonSai sono state pari a circa 2 miliardi di euro -scriveva il 27 aprile 2012 il sito Wall Street Italia. Ligresti ha invece intascato centinaia di milioni di euro. In qualche caso, come quello di Ata Hotels, hanno persino scaricato perdite future sulla Fondiaria». Nello stesso articolo si scriveva, a proposito della fusione Unipol-FonSai, che «Forse per Ligresti, invece, questa potrebbe essere la caduta nell’abisso definitiva. Anche se è bene ricordarlo: in Italia, un paese in cui la gente ha la memoria corta, non si può mai dare nulla per scontato». E poi ancora: «Nonostante la ricapitalizzazione, una pioggia di compensi ha ricoperto i dirigenti del gruppo: 5 milioni e mezzo ai tre figli di Ligresti, 10 milioni a Marchionni. Anche Geronimo e Vincenzo La Russa hanno avuto la loro buonuscita. Il tutto a discapito del piccolo risparmiatore, con aumenti di capitale pesanti che diluiranno il capitale».

Oggi, quando ormai molti danni sono stati fatti e molte persone hanno intascato denaro convinti dell’impunità, è forse tardi per provare a portare un po’ di giustizia in tutto questo gioco fatti di grandi rischi e piccole responsabilità. La speranza è proprio che, oltre a far pagare chi deve, si salvino gli interessi dei piccoli azionisti, che si trovano schiacciati da un meccanismo che li ha messi ai margini. Per il momento, facciamo riferimento al sito dell’associazione Movimento consumatori, che invita a contattare il proprio indirizzo dedicato (fonsai@movimentoconsumatori.it) «per aderire alle azioni civili e penali che verranno a breve avviate».

Privacy Preference Center