di Federico Caruso

Foto di ceedot

Condannare atti di violenza è facile. Sfuggire alla tentazione, calmate le acque, di lasciarsi andare a pericolose espressioni che inconsapevolmente li giustificano, lo è molto meno. Frasi che si sono sentite all’alba del 2 novembre, dopo che una molotov, la notte precedente, aveva distrutto la redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo. “Colpa” di quest’ultimo, e del suo staff, l’idea di pubblicare un’edizione speciale del periodico, per ironizzare (e quindi riflettere) sul possibile futuro della Libia e sulle recenti elezioni tunisine (su questo blog è possibile vedere la copertina, in attesa che il sito del giornale torni online, visto che anch’esso è stato preso di mira da un gruppo di hacker turchi).

In particolare, ciò che avrebbe scatenato l’ira dei terroristi di fede islamica (almeno secondo la stampa, giacché nessuno ha ufficialmente rivendicato l’attentato e le indagini sono in corso), sarebbe stata la rappresentazione del profeta Maometto, vietata dal Corano, e la sua nomina provvisoria a direttore della testata. ZeroNegativo è vicino ai colleghi di Charlie Hebdo, colpevoli di nulla, se non di voler fare il proprio lavoro in totale libertà.

In Francia, Paese dalla lunga tradizione satirica (il primo periodico di questo tipo, Le canard enchainé, usciva nel 1915 ed è tuttora in edicola), nessuno ha pensato di condannare le vittime, a partire dal primo ministro François Fillon, che «ha espresso “indignazione” per il violento attacco. “La libertà d’espressione è un valore inalienabile della nostra democrazia -ha spiegato Fillon in un comunicato- e qualsiasi minaccia alla libertà della stampa dev’essere condannata con la più grande fermezza. Nessuna causa può giustificare una azione violenta”». Ecco, a nostro avviso la questione dovrebbe chiudersi qui.

E invece il cerchiobottismo italico si spinge sempre oltre, fino a confondere ruoli e responsabilità. Come fa Massimo Vanni sul Corriere del 3 novembre, quando dice che «la libertà d’espressione non dovrebbe essere usata come un’arma per esprimere qualsiasi cosa anche in ambito religioso, terreno minato, dove anche un’inezia può interrompere il faticoso percorso del dialogo e del rispetto. Di certo, stupidità e inopportunità vanno a braccetto, nel montare una vicenda dalle conseguenti reazioni politiche e sociali di cui non si sentiva affatto il bisogno. Con un po’ d’intelligente cautela si potrebbero comprendere le sensibilità di ambienti religiosi […] e la delicatezza del momento politico internazionale, che vede le speranze di democrazia e libertà del mondo arabo-musulmano fare i conti con i rischi d’instabilità sociale e di derive religiose radicali».

Con riflessioni del genere, a nostro parere, si mostra il fianco agli atteggiamenti violenti, li si legittima, si rinuncia alla possibilità di ridere dell’attualità “sgonfiandola” dai suoi aspetti più drammatici. È proprio sulle questioni più critiche che la satira può e deve colpire. L’abbiamo detto in altri post su questo blog: troppo facile prendersela sempre con gli stessi soggetti, già abbastanza massacrati dalla stampa “seria”. Quante vignette sono state pubblicate nelle ultime settimane su Papandreou, Sarkozy, Merkel? Per non parlare di evergreen come Berlusconi e Obama. Non si dovrebbe ironizzare nemmeno su di loro, dato che le situazioni dei Paesi guidati da questi leader sono talmente delicate che la violenza potrebbe esplodere anche lì.

C’è una censura molto più pericolosa di quella di Stato, ed è quella del giornalista, del vignettista, dello scrittore, che autonomamente escludono dal proprio ventaglio certi argomenti. Autocensura? Per carità, trattasi di ”intelligente cautela”.