Stamattina le diciannove organizzazioni del comitato promotore, assieme al presidente di Anci Graziano Delrio e al presidente della Camera Gianfranco Fini, hanno partecipato a un incontro a Montecitorio che riporta l’attenzione sulla proposta di legge sulla cittadinanza oggetto della campagna “L’Italia sono anch’io”. «Due proposte di iniziativa popolare -spiegava ieri Carlo Feltrinelli su Repubblica, pagina 28- per la concessione della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri e per l’attribuzione del diritto di voto amministrativo ai residenti regolari da oltre cinque anni (alle ultime elezioni non ha potuto votare il 5,3 per cento della popolazione residente). All’inizio di quest’anno sono state raccolte 200mila firme, ben oltre le 50mila necessarie per presentare le due proposte di iniziativa popolare, e lo scorso 6 marzo sono state depositate alla Camera».

Al momento, tale proposta resta lettera morta, così come lo sono tutte le iniziative volte a modificare la legge 91 del 1992, che prevede lo ius sanguinis e vincola lo status giuridico dei figli alla cittadinanza dei genitori. Così è stato nel 2009 con la proposta di Andrea Sarubbi (Pd) e Fabio Granata (Fli), e nel 2011 con quella di Ignazio Marino (Pd). Stessa deriva sembra prendere anche il documento in oggetto, sottoscritto da decine di migliaia di cittadini e promosso da associazioni, il che dovrebbe portare la discussione oltre le distinzioni destra-sinistra. Qui a confrontarsi sono le visioni del futuro, più che le idee o simpatie politiche. «Perché la crisi è vera crisi -continua Feltrinelli- e la verità è che le idee su cui scommette sono poche. Specie se si tratta di fornire una visione di come potrà essere il nostro futuro. Le soluzioni che ci vengono proposte ogni giorno possono essere più o meno efficaci, ma perché dalla crisi si esca rafforzati, modificati, e non soltanto normalizzati, è necessario un colpo d’ala. Che lo si tema o no, il futuro arriverà e non sarà tenero con chi si chiude in un rifugio a prova di cambiamenti, sperando così di sfuggirgli. Bisogna avere il coraggio di guardare avanti e guardarsi attorno. Un modo per farlo è passare, il più presto possibile, da un concetto di società “ristretto” a un concetto “allargato” e più inclusivo».

Provate a parlare con brasiliani o australiani, scoprirete che -se non conoscono bene il nostro Paese e il modo di ragionare italiano- trovano assurda la nostra definizione di extracomunitario. Se vivi, lavori, partecipi alla vita della loro comunità, sei brasiliano, o australiano. Certo, si tratta di Paesi con una storia d’immigrazione, ma è innegabile che il nostro Paese sia rimasto indietro anni luce rispetto all’assetto normativo di altri Stati europei per quanto riguarda l’accesso alla cittadinanza. A noi fa ancora effetto sentire persone dai lineamenti non collocabili in un inconsistente alveo di “italianità” parlare correttamente la nostra lingua, magari con uno spiccato accento regionale, o addirittura un dialetto. La verità è che per essere un Paese unito, solidale, che sia vera comunità, non è importante la genealogia, ma la misura in cui le persone che lo abitano si sentono parte di esso. «Cittadinanza significa prima di tutto partecipazione -scrive ancora Feltrinelli-, possibilità di concorrere -nei diritti e nei doveri- a una comunità di cui ci si sente parte». Speriamo che dall’incontro di oggi questo aspetto sia emerso e che presto si imponga nella visione dei nostri politici.