La percezione del fenomeno della violenza sulle donne dipende molto da come questa viene raccontata. Nel farlo, i media hanno grosse responsabilità, perché le loro scelte orientano il modo in cui i lettori/spettatori costruiranno la propria idea del problema, rinforzando o andando a scalfire gli stereotipi che ognuno ha. Il sito ValigiaBlu ha costruito una sorta di guida sul come funzionano (e come dovrebbero funzionare) i servizi che parlano di violenza sulle donne. Ottima per chi opera nel settore, di grande utilità anche per chi ogni giorno deve decodificare il messaggio che arriva dai media. Proponiamo uno stralcio dell’articolo.

In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, l’associazione britannica Women’s Aid ha consegnato il premio giornalistico Ending Violence Against Women Media Awards, il cui scopo è rendere merito ai reportage che non promuovono stereotipi dannosi sulle donne. Catalina Albeanu ha intervistato per Journalism.co.uk l’amministratrice delegata dell’associazione e due delle giornaliste vincitrici, per capire come coprire eticamente e con professionalità i casi di violenza sulle donne.

«Molte coperture mediatiche sull’argomento colpevolizzano la vittima, in particolare nei casi di violenza sessuale, parlando delle donne come se avessero in qualche modo provocato l’aggressione», spiega Polly Nate, amministratrice delegata di Women’s Aid. «Anche le vittime di abusi domestici sono spesso presentate come se la violenza nei loro confronti possa essere stata provocata dal loro comportamento».

È importante che i media riconoscano l’impatto che la loro narrazione ha, ancora oggi, sulla percezione del fenomeno nella società. Con lo scopo di aiutare i giornalisti a rendere il loro approccio a questi casi più costruttivo e utile, Albeanu raccoglie nel suo articolo i rischi più comuni e le migliori pratiche per non incorrere in stereotipi di genere quando si scrive dell’argomento.

Abbiamo ampliato l’analisi con considerazioni specifiche per l’Italia e sul linguaggio utilizzato dai media.

Trappole: colpevolizzare, disumanizzare e dimenticare

Secondo Neate esistono principalmente due trappole insidiose per i giornalisti: colpevolizzare le donne per quello che è successo o disumanizzarle. Spesso quando si coprono casi di violenza domestica capita di parlare con vicini o conoscenti meravigliati e ascoltare frasi come “non avremmo mai immaginato che lui potesse fare qualcosa del genere, lo conosciamo da anni ed era un marito e padre modello…”.

Se si decide di costruire il proprio resoconto attorno a questo tipo di testimonianze, si sta lasciando la vittima fuori dalla storia. La donna in questi casi viene disumanizzata, trattata come oggetto accessorio di un articolo che vede come protagonista un “padre modello” o “marito esemplare” che, “non si sa perché”, ha fatto qualcosa di “impensabile”. È una trappola subdola, soprattutto se consideriamo che molti giornalisti promuovono inconsciamente questo tipo di narrazioni.

Altre volte si colpevolizza la donna, concentrandosi su alcuni aspetti negativi e suggerendo in maniera non troppo sottile che parte della responsabilità sia sua, inserendo elementi che giustificano gli uomini autori di violenza. “Com’era vestita?”, “Cosa aveva bevuto?”, “Era attraente?”, “Con quanti uomini è stata vista parlare quella notte?”, “Quanti fidanzati aveva avuto finora?”, “Era fedele al marito?”, etc.

Linguaggio: il romanticismo della violenza

Quando le storie vengono distorte la donna è vittima due volte, ma la distorsione non è causata solamente da perplessità e giudizi espressi in maniera trasparente. Spesso è sufficiente l’uso di termini ambigui, contraddittori, sbagliati per alimentare una narrazione contraria ai fatti, che invece di attenersi alla realtà rincorre una sorta di romanticismo sanguinario.

“Delitto passionale”, “raptus di gelosia”, “momento di follia”, “troppo amore”, “bravo ragazzo”, “padre esemplare”, e infinite variazioni sul tema dell’amore irrazionale e del fatalismo tragico.

Frasi fatte ripetute per inerzia sulla stampa e in televisione, che pesano inesorabilmente sulle vittime e sui cittadini che si informano attraverso questi canali.

Una riflessione sul linguaggio è necessaria e urgente da parte di chi lavora nel mondo dell’informazione. I media, nel trattare il fenomeno della violenza sulle donne, ricorrono spesso a termini e categorie che sono lo specchio di tutti i preconcetti e i pregiudizi culturali intrisi di discriminazioni di genere che avvolgono le situazioni di maltrattamento, discriminazione e violenza.

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Fonte foto: flickr