Come è stato fatto notare più volte nel corso dei mesi, c’è il rischio che uno dei capitoli più importanti del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), quello sulla costruzione di nuovi asili nido, non arrivi agli obiettivi prefissati. I comuni stanno infatti avendo difficoltà a rispettare le scadenze, per vari motivi.

Come spiega il Post, entro il 31 maggio i comuni che hanno richiesto i finanziamenti per costruire asili nido e scuole dell’infanzia devono aver affidato i lavori alle imprese. Questa scadenza era stata inizialmente fissata per il 31 marzo, ma era poi stata posticipata. Tuttavia, molti comuni sembrano avere difficoltà a rispettarla, nonostante le proroghe.

Uno dei problemi segnalati dai comuni è la concessione degli anticipi. Inizialmente fissati al 10 per cento del costo totale dei progetti, con una successiva circolare della Ragioneria generale dello Stato questo limite è stato portato al 30 per cento. Un’ulteriore modifica che mira a rendere i processi più rapidi riguarda il ReGis, un sistema gestionale informatico (controllato dalla Ragioneria) con cui le amministrazioni inviano i dati e le informazioni relative ai progetti del PNRR.

Un problema che questa circolare non risolverà è che spesso, soprattutto nei comuni più piccoli, manca il personale qualificato per la presentazione e gestione di questi progetti. Il rischio è quindi che i comuni più efficienti, dove il numero di posti negli asili nido per 100 bambini è già alto e dove il personale competente non manca, riescano ad approfittare maggiormente dei finanziamenti e quindi a migliorare la qualità dei propri servizi, mentre i più piccoli rischiano di rimanere tagliati fuori.

È importante infatti concentrarsi sul fabbisogno locale piuttosto che su quello nazionale quando si analizzano questi fenomeni, perché la media generale rischia di nascondere e appiattire le differenze.

Secondo Emmanuele Pavolini, docente di sociologia economica all’Università di Macerata e portavoce dell’Alleanza per l’Infanzia, intervistato su Vita, una possibile soluzione è che «i Comuni più bravi in questo ambito [mettano] la propria competenza a favore dei Comuni che invece faticano». In altre parole, «serve che alcuni funzionari pubblici facciano da tutor ad altri. E laddove i comuni hanno pochissimo personale, è necessario che governo, Regioni ed Anci si mettano d’accordo per allocare nuove risorse economiche per assumere personale. Inoltre, rispetto a quanto fatto nell’ultimo anno e mezzo, il governo attuale deve investire più risorse a livello centrale per assumere professionisti che possano essere messi a disposizione dei Comuni in difficoltà».

Un elemento di preoccupazione è sollevato dal think tank Tortuga, che su Lavoce.info spiega come, secondo le sue stime (la cui metodologia è spiegata nell’articolo linkato), anche se dovesse andare tutto bene con la distribuzione dei finanziamenti non si raggiungerebbe l’obiettivo prefissato a livello europeo di 33 posti ogni 100 bambini (l’Italia al momento ne ha circa 27 a livello nazionale). Inoltre, l’aumento sarebbe tutt’altro che omogeneo. «Il divario tra comuni del Nord e del Sud si riduce tra 2020 e 2026 grazie all’allocazione dei fondi a favore di quest’ultimi. Tuttavia, la realizzazione di nuovi posti, che al Meridione e nelle Isole in media raddoppiano il livello di copertura (con punte fino a dieci volte tanto quella iniziale), non è sufficiente a colmare il divario. […] Pur assumendo che la realizzazione dei nuovi posti avvenga secondo tempi e numeri previsti, rimane poi da verificare se i comuni assegnatari disporranno di fondi sufficienti per gestire il funzionamento e il mantenimento delle strutture».

(Foto di Lucas Alexander su Unsplash)

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