Anche gli spettatori sono stati coinvolti in una piccola performance a fine spettacolo

«Dove andrebbe oggi Antigone a manifestare la sua ribellione contro l’autorità, Judith?». «Oggi Antigone sarebbe tra i giovani di Occupy Wall Street!». O tra gli indignados, per dirla “all’europea”. A porre la domanda l’attrice Silvia Calderoni, 29 anni; risponde la grande Judith Malina, attrice statunitense 85enne rivoluzionaria e anarchica. A incorniciare l’incontro gli spazi della fondazione Arnaldo Pomodoro, a Milano, che ha ospitato la settimana scorsa l’esperimento (definirlo spettacolo sarebbe inappropriato) “The plot is the revolution”, la trama è la rivoluzione. Un unico personaggio rappresentato, quello di Antigone, che nella tragedia di Sofocle decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice, contro la volontà del nuovo re di Tebe, Creonte. La ribellione di una donna alle leggi degli uomini, in favore delle leggi cosmiche, o degli dei. Leggi che non vengono certo dalle stelle, ma dallo spirito più profondo dell’essere umano, e impongono la pietà anche verso il più acerrimo dei nemici.

Due Antigoni a confronto quindi, la più anziana a portare il suo spirito rivoluzionario ai giovani spettatori di oggi, forte delle esperienze vissute negli anni della contestazione studentesca sessantottina; la più giovane intrisa di un moto di ribellione più fisico e meno verbale, e al cospetto di un movimento di protesta diverso, ma non meno radicale. «Allora, nel ’68 -racconta la Malina-, le nostre azioni di protesta erano contro la guerra in Vietnam, contro le politiche repressive delle libertà del nostro governo. Oggi le ragioni del dissenso sono più radicali, perché mettono in discussione alla base i valori del capitalismo. Non che le motivazioni dei nostri tempi fossero meno giuste o meno importanti, ma comunque riguardavano questioni che non erano così direttamente legate alla vita di tutti i giorni». Qui si sta dicendo una cosa importante, ossia che le proteste del Sessantotto nascevano da giovani studenti, con una prospettiva di futuro comunque non così fosca come quella dei loro coetanei di oggi, a un paio di generazioni di distanza, che “col culo per terra” (scusate l’espressione) ci sono davvero, o ci sarebbero, se non fosse per i risparmi dei genitori.

«Qual è la parola chiave del nostro tempo, Judith?». «The word is “now”», la parola è “adesso”. «Ciò di cui ha più paura il potere è la presa di coscienza della gente, il fatto che le persone capiscano che possono avere diritti e libertà qui e ora. Per questo cercano di distrarci, di reprimere le nostre istanze». Un tempo con uno stile più diretto, marziale. Oggi in maniera più subdola, a colpi di televisione, di informazione-gossip, narrazioni create ad hoc per spostare l’attenzione su altro, mentre il mondo cambia sotto i nostri piedi. «Il teatro è nelle strade!», concludeva uno spettacolo del Living Theatre, fondato dalla Malina e dal suo compagno Julian Beck. Così la compagnia incitava gli spettatori a prendere coscienza di se stessi, ad andare per le strade e sentirsi liberi. «Ad attenderci, fuori, generalmente c’era la polizia». Oggi, più banalmente, ci sarebbe la normale routine della disillusione cittadina, arma di repressione forse meno cruenta, ma ancor più efficace nel far tornare nei ranghi chi si senta per un attimo sopra le righe. Ma non dimentichiamoci che la parola d’ordine era, e resta, Now!