I danni causati in molte parti del nord Italia dalla tempesta Vaia, del 2018, hanno creato il terreno ideale per la proliferazione di un insetto, il bostrico, che approfitta degli ecosistemi fragili. Dall’analisi delle conseguenze per l’ambiente di questa situazione, un articolo sulla Tascabile avvia una riflessione sulla prospettiva antropocentrica del nostro modo di guardare e plasmare la natura, e ai problemi che può portare.
Nel folto del bosco in Val di Sole domina il silenzio. Si sente solo il lontano gorgogliare di un ruscello e il ronzio sparuto di pochi insetti. Il bosco ci sembra immobile, immutabile, semideserto. Eppure, nel loro silenzio operoso, milioni e milioni di Ips typographus stanno colonizzando gli abeti rossi intorno a noi. Se siamo vicini all’approssimarsi dell’autunno, potremmo pensare che gli aghi color ruggine che ricoprono sempre più piante siano legati alla stagione, ma l’abete rosso è un sempreverde, e deriva il suo nome dalla tinta della corteccia e non delle foglie. La verità è che gli alberi con chiome di questa sfumatura stanno morendo, finiranno per perdere tutti gli aghi e diventare grigi: a ucciderli è proprio l’Ips typographus, un coleottero che abbiamo imparato a conoscere col nome di bostrico e a considerare il flagello dei boschi italiani.
Non si tratta, come per molti esseri viventi di cui si sente parlare ultimamente perché dannosi per l’ambiente, di una specie invasiva: in Europa il bostrico è endemico, è un naturale abitante dei nostri boschi ed è fondamentale per la perpetuazione della foresta come ecosistema. Il suo obiettivo abituale, infatti, sono gli alberi indeboliti, troppo vecchi o in situazioni di difficoltà fisiologica, sotto la cui corteccia scava intricate gallerie, interrompendo il flusso della linfa e avviando così il processo di decomposizione del legno morto. Per capire come e perché il bostrico sia diventato d’un tratto il problema dei italiani ho parlato con Andrea Battisti, entomologo dell’Università di Padova, e Cristina Salvadori, per diversi anni ricercatrice in entomologia forestale, ora funzionaria del Servizio Fitosanitario della Provincia autonoma di Trento.
Quello che in genere è il normale ciclo di vita che avviene nei boschi, in maniera equilibrata, è stato stravolto da una serie di eventi che hanno favorito il proliferare del bostrico con numeri che, sottolinea Salvadori, “non si erano mai visti prima sull’arco alpino”. L’eccezionalità è data proprio dall’entità del fenomeno: la soglia epidemica è riconosciuta a livello europeo a 8.000 individui catturati per trappola per anno, il valore medio per trappola nel 2020 era di tre volte superiore, quello massimo era più di 24 volte oltre il limite. I valori sono leggermente calati nel 2021, per poi tornare a livelli preoccupanti nel 2022. Per quelli del 2023 sarà necessario attendere la fine delle rilevazioni. Ma come ha fatto, quindi, un insetto che popola da sempre i nostri boschi a causare tanti danni al suo ambiente?
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(Immagine di pubblico dominio)
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