Marco Imarisio, sul Corriere della Sera, commenta il clima da «gigantesco bar sport virtuale» in cui sembra essere scivolato il dibattito pubblico, politico e non. A partire dalla prima pagina di Libero su Virginia Raggi di qualche giorno fa, per continuare con tutto quello che ci sta attorno. Proponiamo di seguito l’articolo.
Muori. L’invito è accompagnato dal consueto insulto che fa riferimento a eventuali attività mercenarie del proprio corpo. Nei giorni in cui il dibattito nelle piazze virtuali è stato dominato dal tweet di Caterina Balivo sulla moralità di Diletta Leotta, da quello di Asia Argento sulle fattezze di Giorgia Meloni e infine, per chiudere il cerchio su un sessismo spesso spacciato per goliardia, dal titolo di Libero sulla patata bollente di Virginia Raggi, causa esigenze di lavoro è capitato di leggere un messaggio del genere rivolto su Facebook a Giorgia Galassi, una delle superstiti dell’hotel Rigopiano. È una ragazza di vent’anni rimasta prigioniera di neve e macerie. Qualcuno la ritiene colpevole di aver postato foto delle sue vacanze in Svizzera. In buona sostanza, di essere sopravvissuta e di scrivere frasi persino banali sulla vita che continua.
Dalla pancia ai polpastrelli
Ci vorrà molto tempo per capire quando, esattamente, si sono rotti gli argini. Nel nostro dibattito pubblico sono saltate regole elementari di convivenza, tolleranza, persino di educazione minima. E non da ieri. Ormai il pensiero di pancia, la battuta greve, sono diventati consuetudine. Non c’è più alcuna intermediazione tra stomaco e polpastrelli, buona la prima, come se fossimo in un gigantesco bar sport virtuale. Anche per i titoli di giornale, che sono grandi perché devono essere il riassunto di una vicenda. Gli amori presunti del sindaco non dovrebbero neppure essere una nota a margine nel dramma di Roma, intesa come città. Le sue questioni personali non hanno alcun rilievo, a meno che non diventino snodi importanti dell’inchiesta giudiziaria. Il titolo di Libero fornisce legna al falò cospirazionista dei Cinque Stelle, alla teoria dei media cattivi che senza alcuna distinzione ce l’hanno con loro. Invece le responsabilità sono sempre individuali, e forse qualche distinzione andrebbe fatta.
Politica senza freni
Proprio per questo, addossare la colpa a Internet rappresenta spesso un alibi di comodo. Oggi Beppe Grillo può tuonare contro la patata bollente di Libero. È la stessa persona che ha contribuito in modo decisivo a questa decadenza del nostro discutere, che poi sarebbe anche un modo di stare insieme. Fu lui a chiedere agli utenti del suo blog cosa avrebbero fatto se si fossero trovati in macchina da soli con Laura Boldrini, a chiedersi in un tweet se Maria Elena Boschi non fosse per caso in tangenziale con Pina Picierno. Nel 2001, quando durante uno spettacolo diede della vecchia meretrice a Rita Levi Montalcini, ma il termine era più comune ed esplicito, Facebook non esisteva ancora. I social network hanno sicuramente contribuito a sdoganare nella politica e in alcuni media un linguaggio e una lettura del mondo deresponsabilizzata, come se fosse possibile dire tutto, sempre. A voler cercare momenti che hanno segnato il crollo di ogni separazione tra le bacheche virtuali più deleterie e ambiti in teoria più protetti ci si imbatte anche nel deputato pentastellato Massimo De Rosa, che il 30 gennaio 2014 in aula, rivolto alle colleghe del Pd disse che si trovavano in Parlamento solo per le loro capacità nel sesso orale. E anche qui la frase originale era molto più cruda.
Il declino del rispetto
L’ansia di essere vicini alla gente ha prodotto un avvicinamento al peggio della gente, spesso tollerato con molta indulgenza. Ieri Matteo Salvini ha dato a denti stretti la sua solidarietà a Virginia Raggi, ma non risulta che rimpianga di aver detto che Boldrini, una sua ossessione, aveva meno cervello di una bambola gonfiabile. E lasciamo perdere le banane e i paragoni con le scimmie che la Lega Nord ha riservato all’ex ministra Cecile Kyenge. Anche Vincenzo De Luca, uomo forte del Pd in Campania, è ancora al suo posto dopo aver sostenuto che la sua nemica Rosy Bindi avrebbe dovuto essere uccisa, ultima perla di un rosario che comprende ovviamente anche giudizi sull’avvenenza della sua compagna di partito. Se tutto è lecito come su Facebook, se anche chi ricopre una carica istituzionale sente il bisogno di essere «uno di noi», allora è possibile che il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri risponda con insulti e sberleffi ai suoi follower su Twitter, che il deputato Ernesto Carbone si esibisca nel celeberrimo «ciaone» agli sconfitti del referendum sulle trivelle, senza capire che ci vorrebbe rispetto, sempre e comunque. La lotta allo sdoganamento dei cattivi sentimenti viene sovente subordinata ad altre necessità più impellenti, che siano la convenienza politica, il tifo da stadio per le opposte fazioni o la semplice consapevolezza di essere comunque coinvolti.
Dai social alla vita vera
Vittorio Feltri ha ragione quando dice che quel titolo venne fatto anche per le olgettine di Silvio Berlusconi, ma in quella occasione non si levò nessuna protesta, o quasi. Abbiamo tutti le nostre colpe, comprese frasi, vignette e titoli sbagliati dei giornali. Ma non possiamo più permetterci l’indulgenza demagogica per lo sfogo, per la volgarità esibita. Perché stiamo perdendo qualcosa, tutti. C’è tanta gente sempre più cattiva in giro. Non solo sulla pagina Facebook di Giorgia Galassi, non solo su Internet. Anche e soprattutto là fuori, nella vita vera. Forse è arrivato il momento di metterci più attenzione. E di tornare ai fondamentali della nostra convivenza.