Nello studiare il rapporto tra uomini, patriarcato e femminismo, si tende a concentrarsi sui gruppi sociali più svantaggiati. Yari Carbonetti, sul Tascabile, sottolinea l’importanza di partire invece dall’universo maschile.

Quando ci si occupa di tematiche di genere, si tende a concentrarsi principalmente (e comprensibilmente) sui gruppi sociali che vengono oppressi dalle società patriarcali ed eteronormative. Tuttavia, anche identificandosi come uomini, può essere utile focalizzare l’attenzione, in modo critico, sul gruppo sociale avvantaggiato, per cercare di fare chiarezza sul rapporto tra uomini, patriarcato e femminismo.

Anche perché appartenere a un gruppo privilegiato non significa per forza essere vincitori.  I grandi errori della narrazione “mainstream” del rapporto tra uomini e femminismo sono due: il primo consiste nel credere che gli uomini non beneficerebbero di un movimento femminista intersezionale e internazionale; il secondo si forma dall’assunzione che potrebbero beneficiarne senza dover contemporaneamente ripensare a fondo la maschilità e la socializzazione maschile, e senza identificare e rinunciare ai privilegi che ne conseguono.

Vediamo il primo punto. Alla maggioranza degli uomini serve il femminismo perché, nonostante venga loro diagnosticata una depressione clinica la metà delle volte rispetto alle donne, gli uomini si tolgono la vita quasi quattro volte più spesso. Gli uomini hanno un’aspettativa di vita di 2-8 anni inferiore a quella delle donne e sono più a rischio di essere vittime di crimini violenti. Nei tribunali a parità di condizioni spesso ricevono condanne più severe, e qui vi è ancora la propensione, dopo i divorzi, ad affidare i e le figlie alle madri. Inoltre, malgrado alcuni miglioramenti parziali, stringono ancora meno amicizie strette (si veda anche Bell) e si aspettano, offrono e trovano meno intimità e supporto emotivo rispetto alle amicizie tra donne (come sostengono anche Way e O’Neil). Di fronte ai drammi e ai limiti della vita si dimostrano meno psicologicamente resilienti e meno preparati ad affrontare le avversità; finiscono ad esempio per avere più difficoltà nella ricerca e nel mantenimento di relazioni supportive, o per soffrire di più sintomi depressivi alla perdita del lavoro rispetto alle donne. A scuola, le persone a cui è stato assegnato il genere maschile alla nascita e che appartengono alla comunità LGBTQ+, oppure coloro che violano le norme di mascolinità, sono ad altissimo rischio di subire violenza fisica e verbale. E, sempre a scuola, i ragazzi raggiungono spesso risultati leggermente inferiori a quelli delle ragazze.

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(Foto di Simone Pellegrini su Unsplash )

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