«Piccola ma significativa rivoluzione in alcune carceri di massima sicurezza brasiliane -riporta il sito di Rivista Studio: quattro prigioni sono state selezionate come test di un nuovo programma del governo di Dilma Rousseff che permette ai detenuti di godere di quattro giorni di libertà per ogni libro letto (letteratura, filosofia e scienza sono gli argomenti al centro della proposta). Il recluso dovrà poi scrivere un saggio breve a partire dal testo e, previa valutazione di un comitato, otterrà il permesso di novantasei ore. C’è un limite però: quarantotto giorni ogni anno, ovvero dodici libri. E il libro non va “consumato” in più di quattro settimane. Il programma si chiama “Expiação via leitura”, e l’obiettivo è quello di abbassare sensibilmente il numero di detenuti del più grande stato del Sud America, che raggiunge oggi circa 513mila persone, il 70 per cento delle quali, si calcola, non possiede nemmeno una licenza media».

Un’iniziativa interessante, che speriamo darà risultati apprezzabili, e che si potrebbe sperimentare anche altrove. Ma, nonostante la serietà dell’iniziativa, vogliamo darne una visione più leggera. Si avvicinano le vacanza estive, per molti il momento privilegiato per darsi alla lettura. Che può essere un rifugio, ma in due sensi diversi. C’è chi non vede l’ora di liberarsi degli impegni lavorativi per affrontare la pigna di libri accumulata durante l’anno, ma mai letti per mancanza di tempo. E c’è invece chi, chiuso nella formula (che mai tramonterà) del vacanziero stressato anche al mare, si chiude nel mondo della lettura per uscire da quello che rifiuta, ossia il pacchetto (o meglio il “pacco”) vacanze fatto di code in autostrada, albergo che cade a pezzi mentre su internet sembrava il top gamma della Hilton, litri di sudore per piantare un ombrellone nella spiaggia di sassi (ma non doveva essere sabbia?), eccetera.

Insomma, l’accostamento è volutamente forzato, ma resta il parallelismo tra la vita “in gabbia” (più o meno esplicita) e la cultura come evasione. Intendendo quest’ultima come possibilità di uscire da una routine ed elevare il senso delle nostre vite. Due giorni fa al Dall’Ara di Bologna si è tenuto il Concerto per l’Emilia, l’evento-raccolta fondi per le vittime del terremoto. L’attore Alessandro Bergonzoni è intervenuto a modo suo, leggendo una lettera alla Terra. Tra i vari paradossi nel suo monologo c’era l’impegno ad abolire degli esseri indifferenti e disinteressati alla cultura, «quelle piante di uomini piccoli, in miniatura, invasati, che non crescono mai: i nonsai».

Proviamo a seguire il suo stile suggerendo ai lettori, di queste e d’altre pagine, di andare oltre le sbarre delle proprie carceri di massima insicurezza, ossia la banalità delle scelte prêt-à-porter marchiate dal logo best-seller. Evadiamo dai nostri schemi, o da quelli che ci impongono con il marketing e la pubblicità. Rischiamo l’affondo invece di raschiare il fondo. Chi l’ha detto che l’artista è solo chi scrive il libro? La creatività si esprime anche nella scelta del titolo. Anzi, è tutto lì il brivido. E con queste temperature non può che essere piacevole.