Chi è senza peccato, scagli la prima pietra. Si sentono tutti sufficientemente candidi (e poi candidati) per posare il primo mattone della grande opera pubblica. Ma poi, quante volte si riesce ad andare oltre? Parliamo, per esempio, del Palazzo del Cinema di Venezia. La fatidica prima pietra fu poggiata nel 2008, sul finire di uno stanco agosto, con i missili russi che indicavano al mondo dove sta l’Ossezia del Sud, mentre incrociavano in volo gli anelli delle Olimpiadi cinesi. Aria di fine vacanze, di ripresa dei lavori. Che al Lido si sono fermati subito, mentre l’idea era di arrivare al taglio del nastro nell’anno del 150esimo dell’unità d’Italia. Rien à faire. Parola magica: amianto. Quello trovato appena si è iniziato a scavare le fondamenta. Morale della storia: dei 130 milioni previsti dal primo progetto ne sono stati spesi già 35, e ancora il futuro del Palazzo risulta avvolto da una coltre di mistero, che rende l’area su cui dovrebbe sorgere più simile a ground zero che a un cantiere. Per contrappasso, il cemento sta invece colando tutto attorno, perché se non ci sono i soldi per finanziare il progetto, perché non privatizzare aree pubbliche e usare i ricavi per costruire? Turisti e cittadini della laguna più famosa del mondo saranno felici di veder nascere nei prossimi anni un porto da mille barche, su una superficie di cinquanta ettari. Roba da “Pirati nei Caraibi” in salsa mediterranea, contro cui le associazioni dei cittadini si sono già mobilitate.
Altrove, all’altro capo d’Italia, si lavora a pieno ritmo, ma con metodi para-statali: «Zio, la informo che siccome in breve dovrebbe iniziare la metropolitana volevo chiedere se le interessa qualche calcestruzzi da fare lavorare». Questa la trascrizione del pizzino, firmato Salvatore Lo Piccolo, trovato a casa di “zio” Bernardo Provenzano il giorno del suo arresto. Oggetto del messaggio, l’imminente appalto per i lavori di ampliamento della metropolitana di Palermo (sì, in pochi lo sanno, ma il capoluogo siciliano ne ha una). Ironia della sorte, chi si è poi occupato di mettere in piedi il consorzio di aziende a cui sarebbero state affidate le consegne si chiama Andrea Impastato. Ma lui non è di Cinisi, come Peppino, uno che remava con vigore nella direzione della legalità, e che per questo ci ha rimesso la vita. Questo qui si occupa di calcestruzzo, ed è di Montelepre: un mix letale di creature mitologiche atipiche, che richiamano l’edilizia, la terra, le fiere (nel senso di bestie feroci). Società e beni dell’Impastato imprenditore sono stati sequestrati nel 2008, lo stesso anno in cui i lavori sono iniziati. Oggi in manette ci è finito lui, mentre il cantiere resterà tale chissà per quanto tempo ancora. Se questi qui sono quelli senza peccato (sarà il processo a dirlo), l’Italia rischia di finire sommersa dalle macerie.