Difficile parlare di un film come “Diaz. Don’t clean up this blood”. Ma ancor più difficile non farlo, per i tanti che hanno seguito la cronaca dei giorni di Genova nel 2001. All’eccesso di immagini che accompagnò lo svolgimento del G8, non è seguita un’altrettanto densa esposizione di ciò che avvenne poi. Le indagini, i processi, le condanne, le questioni non risolte, quelle poco chiare, quelle insabbiate. Il film di Daniele Vicari si concentra su un episodio, quello del blitz della polizia avvenuto sabato 21 luglio nella scuola Diaz di Genova.

Prima di ciò che si vede nel film, è ciò che manca a colpire. Innanzitutto, le motivazioni delle manifestazioni. Si vedono dei giovani sfilare per le strade, altri devastare negozi e dare fuoco ad automobili, dopo averle ribaltate. Ma la storia non chiarisce allo spettatore contro cosa protestassero tutte quelle persone. Altra grande assente dal film è la politica. La sua visibilità è infatti limitata a immagini di repertorio di un intervento dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ma l’assalto sembra confinato a una questione di ordine pubblico, in cui tutte le decisioni sono prese dai più alti gradi delle forze dell’ordine, senza alcuna ingerenza da parte dei ministeri coinvolti.

Poi, i nomi. In una ricostruzione storica che si presenta come fondata sui documenti processuali raccolti, che senso ha lasciare la narrazione a una dimensione decontestualizzata? Al contrario, tutta l’attenzione è posta sull’assalto alla scuola. La violenza degli agenti è proposta e sottolineata in tutta la sua ferocia, e anche lo spettatore si trova investito da un pugno nello stomaco nell’assistere impotente allo stillicidio di manganellate. Uno spettacolo che lascia una sensazione di malessere, che prosegue anche dopo l’uscita dal cinema. Ma ben più duraturo sarebbe stato l’effetto dato dalla visione di ciò che ha seguito la “perquisizione” (tale era ufficialmente lo scopo dell’irruzione nella scuola). Le accuse cadute, quelle accertate, gli ostacoli posti allo svolgimento dei processi.

A quasi undici anni dagli episodi narrati, a inchieste concluse, forse si sarebbe potuto spiegare qualcosa in più. Certo, resta il merito di aver riportato l’attenzione su un fatto che non deve cadere nell’oblio, ma per mantenere un’equidistanza tra le parti in causa si è finito per fare un film che non passa molte informazioni in più rispetto a quelle che già si avevano dalle notizie battute a caldo dai giornalisti nei giorni del G8. Insomma, visione consigliata a chi si è perso i fatti di quei giorni, nella speranza che, usciti dal cinema, a qualcuno venga voglia di approfondire con qualche lettura.