Un articolo pubblicato su Altreconomia a proposito del documento (sfogliabile qui) firmato da alcune associazioni si occupa dei temi caldi dei diritti umani in Europa: politiche migratorie, gestione delle comunità rom e stato delle carceri.
Non solo austerità o politiche economiche. Scrivendo Europa si legge -o si dovrebbe leggere- anche “diritti umani”. Per questo, a poco meno di due mesi dalle elezioni europee, Antigone, Associazione 21 luglio e Lunaria hanno presentato oggi l’Agenda dei diritti umani in Europa. Una richiesta d’impegno concreto ai candidati italiani che è poi un dettagliato elenco programmatico delle priorità comunitarie volte a garantire dignità, libertà e integrità a “migranti, rom e detenuti”.
A proposito di migranti, le tre associazioni mettono in fila i numeri e le cifre. Tra il 2007 e il 2013 l’Unione Europea ha stanziato 1,8 miliardi di euro per il Fondo europeo per le frontiere esterne e 676 milioni per il Fondo europeo per i rimpatri. Allo stesso tempo, però, gli stanziamenti destinati al Fondo europeo per i rifugiati e al Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi hanno toccato quota rispettivamente 630 e 825 milioni di euro. Dunque, le risorse destinate al controllo delle frontiere e ai rimpatri -2 miliardi e 496 milioni di euro- sono state quasi il doppio di quelle destinate alle politiche di accoglienza e di inclusione sociale, pari a 1 miliardo e 455 milioni di euro. Questa è la sintesi cruda delle politiche europee degli anni trascorsi, capaci di partorire l’agenzia Frontex e di chiederne il rafforzamento dopo la strage del 3 ottobre 2013 a Lampedusa (366 migranti morti).
I punti sono specifici: dalle modalità con le quali viene limitato l’ingresso dei migranti nel territorio europeo agli ostacoli posti all’accesso al diritto di asilo e all’acquisizione della cittadinanza, dalle violazioni del diritto alla salute all’istruzione e all’assistenza sociale che subiscono i migranti in molte carceri italiane.
A fronte dei giusti e sacrosanti principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, i comportamenti dei governi dei singoli Paese -specie dell’Italia- si sono rivelati assai distanti. Dalle regole violate del soccorso in mare -e l’Italia è il Paese dei respingimenti, anche in Paesi che non hanno ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sul diritto di asilo- alla detenzione amministrativa come prassi ordinaria presso i centri di identificazione ed espulsione.
Il capitolo dedicato ai Rom -12 milioni in Europa è la stima più recente, la minoranza più consistente e più discriminata del continente- si conclude con cinque priorità per cambiare rotta: affrancamento dalla logica del campo, sospensione degli sgomberi forzati, riconoscimento dello status giuridico, sostituzione dell’etichetta “nomade”, lotta alla persecuzione mediatica di chi li vuole zingari, rapinatori di professione, fonte di criminalità. Il nostro Paese -come abbiamo scritto nell’estate dello scorso anno su Altreconomia- avrebbe dovuto da tempo attuare delle strategie di inclusione nazionale per facilitare, agevolare, quanto meno avviare, un percorso di questo tipo. I candidati italiani al Parlamento europeo potrebbero perciò rifarsi al lavoro che già ha svolto Amnesty International, nel rapporto Lasciati fuori. Violazione dei diritti dei Rom in Europa- ha ribadito l’“urgenza” programmatica chiamata Rom (termine che rinvia genericamente alle comunità rom, sinte e caminanti ricomprendendole all’interno di un unico macro–gruppo senza negare l’esistenza di gruppi e sottogruppi altrimenti denominati e differenti quanto a provenienze, caratteristiche culturali, tradizioni).
L’ultimo capitolo è dedicato ai detenuti. I dati relativi al “braccio europeo” più recenti (2011) fotografavano in 1.828.101 le persone detenute nell’area dei Paesi appartenenti al Consiglio d’Europa. Il tasso di detenzione medio europeo era allora pari a 154 detenuti ogni 100mila abitanti. Il nostro Paese si collocava al di sotto di questa media, presentando un tasso di detenzione di 110,7 detenuti ogni 100mila abitanti. Sui 47 Paesi appartenenti al Consiglio d’Europa, ben 23 presentavano sistemi penitenziari sovraffollati. E se il tasso di affollamento medio europeo era pari a 99,5 per cento, il sovraffollamento nelle carceri italiane era, secondo le fonti ufficiali, del 147 per cento, mentre secondo le stime meno “prudenti” delle associazioni, del 170 per cento. Eccezione italiana anche a proposito della custodia cautelare in carcere -e del suo ricorrente abuso-: i ristretti in custodia cautelare rappresentano il 41,2 per cento del totale della popolazione carceraria in Italia; sono il 24,3 per cento in Francia, il 36,1 in Grecia, il 19,5 in Portogallo, il 16,3 in Spagna, l’11 in Polonia, fino ad arrivare al 5,6 del Regno Unito.
Oltre la media continentale è anche l’incidenza di detenuti stranieri (35,7 per cento contro il 20,6 dell’Unione). Una condizione inumana e degradante -o “prepotente urgenza”, come la definì Giorgio Napolitano- che si traduce anche in termini elettorali. Alle ultime consultazioni del 24 e 25 febbraio 2013, infatti, i detenuti che potevano esercitare il diritto di voto erano circa 30mila. Coloro che decisero (o meglio, poterono) esercitare il diritto effettivamente furono 3.426.
Maggio sarà poi il mese della scadenza dei termini del provvedimento Eu-Pilot legato alla cosiddetta sentenza Torregiani, tramite la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha “suggerito” al nostro Paese -nel maggio scorso- di perfezionare riforme strutturali in materia, entro un anno.