Da anni l’Italia si trova in una posizione poco chiara in merito alla tutela del diritto d’autore. La direttiva europea “Barnier” (del 2014), che presuppone (pur non imponendola esplicitamente) un’apertura del mercato, è stata recepita in modo da non intaccare il monopolio della Siae. Dopo un incontro al Festival del cinema di Venezia tra il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini e la commissaria europea per l’economia digitale Mariya Gabriel, il tema è stato nuovamente ripreso, e forse troverà spazio nella prossima legge di Bilancio dello Stato. A seguito di quel confronto, il Mibact aveva pubblicato una nota in cui precisava che nessuna procedura d’infrazione è stata avviata contro l’Italia da parte degli organismi comunitari sui meccanismi del collecting (cioè la riscossione dei corrispettivi per il diritto d’autore).

Al contempo, si parlava anche di una possibile apertura del mercato ad altri operatori, purché si tratti di soggetti non profit. «Le società di collecting – si legge nella nota – devono essere senza scopo di lucro e/o controllate dai propri associati autori ed editori; non devono operare alcuna discriminazione nei confronti dei titolari di diritti, sia gestiti direttamente che attraverso accordi di rappresentanza; devono pubblicare bilancio d’esercizio, relazione di trasparenza, condizioni di adesione e tariffe; devono essere in grado di concedere licenze multiterritoriali, ovvero strumento di one stop shop di offerta legale di contenuti. Gli organismi di gestione collettiva devono quindi fondarsi e operare sulla base di criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori».

A giudicare dal resoconto pubblicato dal Ministero, sembra che si voglia sottolineare il fatto che la linea tenuta finora da Franceschini (ossia che il monopolio Siae non si tocca) non è in contrasto con la direttiva “Barnier”. Da un altro punto di vista, è evidente che sia arrivata una richiesta di apertura da parte della commissaria europea, altrimenti non si spiegherebbe la contestuale comunicazione in merito alla possibilità di fare entrare nuovi soggetti nel settore a breve. Con la proposta di limitare però l’ingresso ai soli soggetti non profit, si continua di fatto a ignorare la spinta verso l’apertura del mercato anche a soggetti privati che operano a fini di lucro. Al momento, infatti, per aggirare il monopolio gli artisti devono rivolgersi a società con sede in uno degli Stati membri dell’Unione, purché non sia l’Italia.

Aprendo l’accesso alle omologhe della Siae nel resto d’Europa, si otterrebbe di fatto un mantenimento dello status quo, visto che queste già collaborano con la Società italiana degli autori ed editori. Come spiega Filippo Santelli su Repubblica: «Ognuna nel suo Paese gestisce il copyright per conto delle altre. Anche iscrivendosi alla francese Sacem, in sostanza, un artista italiano vedrebbe comunque i suoi diritti raccolti e distribuiti da Siae». Questa interpretazione trova riscontro in una fonte interna di Sacem, interpellata da Giovanna Faggionato per Lettera43: «“La nuova legge non comporterà alcun cambiamento”, spiegano direttamente dalla Sacem, il corrispondente della Siae in Francia, “noi non opereremo direttamente in Italia come la Siae non lo fa in Francia: oggi quando un artista italiano si esibisce sul territorio francese noi ne raccogliamo i diritti e poi li ridistribuiamo in nome degli accordi di reciprocità”. A Parigi la Sacem mantiene una posizione assolutamente dominante sul mercato, ma dà per scontato il principio formale di concorrenza: “Già dal 2005 una decisione europea ha previsto che un autore possa iscriversi a un altro operatore anche straniero per la raccolta dei diritti. E sul mercato francese abbiamo già operatori privati che ci fanno concorrenza”».

Vedremo se sarà la solita riforma fatta affinché tutto rimanga com’è. Il messaggio lanciato a Venezia è che in Europa ci stanno osservando con attenzione e, se l’Italia non cambierà in fretta la sua interpretazione della direttiva “Barnier”, il prossimo passo non potrà che essere la procedura d’infrazione.

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