Il progetto Erasmus, almeno per il 2012, è salvo. Se ne è parlato poco, ma il programma che da 25 anni permette ai giovani studenti europei di passare un periodo di tempo frequentando un’università straniera rischia di finire risucchiato in un altro programma, ben più pericoloso: quello dei tagli. Inizialmente sembrava infatti che non vi fossero i fondi per proseguire con il finanziamento degli spostamenti e delle collaborazioni tra istituti, ma ieri c’è stata una svolta, che però non assicura stabilità per il futuro: «Il Commissario Ue per la programmazione finanziaria e il bilancio -scrive Il Fatto Quotidiano-, il polacco Janusz Lewandowski, ha annunciato oggi una rettifica al bilancio 2012 di 9 miliardi di euro, 90 milioni dei quali andranno a pagare le fatture già emesse per il programma Erasmus. Per il 2013, invece, regna l’incertezza più totale».

Chi ha fatto questa esperienza, o l’ha conosciuta in via indiretta tramite il racconto di amici e colleghi di studi, sa bene quale sia il suo valore per sviluppare un senso di integrazione che vada oltre i confini nazionali. È vero, spesso poi le sessioni d’esame finiscono con un quasi nulla di fatto, si finisce per dover recuperare, al ritorno, gli esami non sostenuti nell’università partner. Ma ragionando in questo modo si dimentica quanto disse Umberto Eco un anno fa, ossia che «l’Erasmus ha dato vita alla prima generazione di giovani europei». In un quarto di secolo ha fatto viaggiare circa due milioni e mezzo di studenti, permettendo loro di affrancarsi dalle abitudini, dai pregiudizi, dalle routine della vita studentesca, proiettandoli in un luogo d’Europa in cui si parla una lingua diversa, ci sono usi diversi, si ragiona in modo diverso

L’Erasmus crea consapevolezza e permette di stringere legami tra persone di diverse nazioni, abbattendo le barriere culturali e politiche più di quanto possa fare qualsiasi mercato comune o moneta unica. Proprio a commento dell’assegnazione del premio Nobel per la Pace all’Ue, il giornalista del Guardian Philip Oltermann ha proposto provocatoriamente che il riconoscimento sia assegnato invece al programma Erasmus. E con buone argomentazioni: «Molte persone partite con questo programma non hanno più fatto ritorno. Tedeschi che si sono innamorati di spagnole, greche che hanno sposato francesi, polacchi che hanno avuto figli da madri portoghesi. […] Dal mio punto di vista, è inimmaginabile che questi genitori e i loro figli riescano ad ascoltare un demagogo nazionalista che istiga alla guerra senza aprire bocca. Di sicuro si farebbero sentire. Ciò che più conta è che alcuni di loro verosimilmente entro i prossimi venti anni diventeranno personaggi di spicco nell’informazione, nelle imprese e penseranno oltre i propri confini nazionali. Se la crisi della zona euro può essere superata -e sottolineo “se”- ci saranno buone probabilità che a essa faccia seguito un periodo di pace tanto lungo da far sfigurare quello di 67 anni appena trascorso.

Secondo gli euroscettici britannici tutto questo innamorarsi tra una nazione e l’altra non è dovuto alla retrograda burocrazia Ue, ma al libero commercio tra gli stati. Ma chi si è mai innamorato durante un incontro di lavoro? La bellezza del programma Erasmus, invece, è dovuta al fatto che ha reso possibile l’incontro tra i giovani prima che questi iniziassero a pensare a tali incontri come a un semplice mezzo di scambio di capitali, prima di indossare la glaciale maschera di chi si occupa di scambi commerciali. E in ogni caso, chi ha detto che un premio non deve essere romantico? Se credete davvero che niente possa garantire l’armonia interculturale quanto il libero commercio, tanto vale assegnare il premio Nobel per la pace a Ronald McDonald. Questo sì che ispirerebbe davvero il continente». Speriamo almeno che la somma di denaro corrisposta all’Europa dal club norvegese assieme al premio sia spesa per assicurare la continuazione del programma.

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