Nei giorni scorsi si è consumata una delle cicliche polemiche che agitano il dibattito pubblico italiano, salvo poi rientrare dopo qualche giorno, fino al ciclo successivo. L’episodio scatenante è stato la decisione, da parte di una scuola di Pioltello, in provincia di Milano, di chiudere il 10 aprile per la festa di fine Ramadan.

Prima di gridare allo scandalo per l’inarrestabile tramonto dei “valori occidentali”, sarebbe stato opportuno leggere le parole del dirigente scolastico, che ha spiegato che l’istituto “è frequentato per il 40 per cento da studenti musulmani e negli anni passati, in occasione della festa di fine Ramadan, il tasso di assenze è stato molto alto: è capitato cioè che in alcune classi fossero presenti solo tre o quattro studenti”.

Una motivazione molto pragmatica dunque, che si basa sulla possibilità degli istituti di gestire il proprio calendario scolastico. Quel giorno non sarà infatti perso, ma sarà recuperato altrove durante l’anno (sarebbe stato invece “perso” non chiudendo, perché gli insegnanti non avrebbero certo potuto proseguire con il programma di fronte a classi semivuote).

Ma è sempre troppo tardi per queste precisazioni e contestualizzazioni, l’istinto di avventarsi sull’ennesima preda da parte di alcuni politici, opinionisti e utenti dei social network è troppo forte. E pazienza, in fondo si tratta solo di fare scivolare via l’ennesima polemica che si accende e si spegne con la stessa rapidità.

Vale però la pena soffermarsi sulle “proposte” di alcuni politici di maggioranza, compreso il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Si è vagheggiato infatti di un “tetto” del 20 per cento di alunni di cittadinanza non italiana per classe.

A guardare il dato complessivo, si potrebbe anche pensare che sia già così. Secondo gli open data pubblicati dal ministero, nell’anno scolastico 2022/2023 in Italia c’erano poco meno di 718 mila studenti stranieri su un totale di circa 6 milioni e 340 mila, ossia il 12,7%. Il problema però è che, ovviamente, questa percentuale non si distribuisce equamente sul territorio nazionale. Raggruppando i dati per provincia, si nota come in 22 di esse la percentuale di studenti stranieri iscritti alla scuola primaria e secondaria superi la soglia del 20 per cento, con una di esse (Prato) che arriva al 40,5%.

Guardando ai dati per istituto scolastico, si vede come quasi 1 su 5 a livello nazionale superi il 20%. Nell’8% dei casi si va oltre il 30%. In 445 scuole gli studenti stranieri sono almeno la metà del totale degli iscritti. In 23 istituti gli studenti italiani sono solo 2 su 10.

La realtà, che lo si voglia o no, non si cura di principi, paletti e soglie ministeriali. Che si fa per questi studenti stranieri “in eccesso”? Li si redistribuisce con la forza sul territorio nazionale? Poi c’è il dato demografico: in Italia nascono sempre meno bambini da genitori italiani. La percentuale di studenti stranieri è in aumento anche perché diminuiscono gli iscritti di nazionalità italiana, quindi i non italiani pesano di più in termini percentuali.

Sarebbe interessante, in questo senso, riprendere la discussione sul cosiddetto ius culturae. Sono sempre di più i bambini nati da genitori stranieri che hanno frequentato in Italia tutto o gran parte del loro ciclo di studi. Spesso non hanno mai messo piede nel proprio paese di origine, talvolta non ne parlano nemmeno la lingua. Nonostante ciò, devono aspettare i 18 anni per fare richiesta di cittadinanza, e poi attendere anche anni prima che sia loro “concessa”. Semplificare la procedura burocratica per naturalizzare i tanti studenti in questa situazione avrebbe l’indubbio beneficio di farli sentire pienamente accolti e integrati nella nostra società. Inoltre, farebbe calare la percentuale di studenti etichettati come “stranieri” nelle nostre classi, regalando così sonni più tranquilli al ministro.

(Foto di Sam Balye su Unsplash)

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