Sembra che il governo abbia intenzione di cambiare rotta in merito alla diffusione del gioco d’azzardo. Dopo anni in cui i punti di gioco sono cresciuti costantemente, e con essi i proventi per lo Stato come tasse sulle vincite, ora è stata ufficializzata l’intenzione di ridurre l’offerta e regolamentarla in maniera più rigida. La proposta, condivisa presso la Conferenza Stato-Regioni-Enti locali in agosto dal sottosegretario all’Economia con delega ai giochi Pier Paolo Baretta, riassume per punti le misure che l’esecutivo intende attuare per arginare il fenomeno. «La soluzione prospettata dal Governo e condivisa dalla Conferenza – si legge nel testo, pubblicato su Vita.it –, è quella di ridurre l’offerta di gioco pubblico e, dunque, l’esposizione dello Stato, in un settore che se, da un lato, garantisce importanti entrate erariali pari a 10,5 miliardi nel 2016, di cui 5,8 miliardi dai soli apparecchi slot, dall’altro misura conseguenze sociali che non possono più essere trascurate». Viva la sincerità, verrebbe da dire.

Il governo esprime in maniera esplicita il proprio rammarico per dovere rinunciare a grandi somme di denaro, a causa delle conseguenze patologiche per le persone che nel gioco perdono il controllo. Conseguenze che «non possono più essere trascurate», come a dire che finora invece ci si è permesso di farlo? Un po’ rischioso (per non dire azzardato) esprimersi con tanta leggerezza su un fenomeno che, è noto da tempo, è in grado di distruggere vite e famiglie intere. Fino a che punto è possibile trascurare le «conseguenze sociali»? È una questione di numeri? Ci perdonerete se insistiamo, ma l’espressione è ancora più grave se si considera che lo Stato è responsabile dell’ampia diffusione delle possibilità di gioco, ed è dunque corresponsabile delle relative ludopatie che da queste possono nascere. Si tratta dunque di mettere una pezza su un buco che lo Stato non ha solo passivamente visto allargarsi, ma su cui ha agito affinché si ampliasse. Quindi sì, è il momento di fare qualcosa, ma è bene chiarire che finora le politiche pubbliche sul gioco d’azzardo (almeno a livello nazionale) sono state a dir poco irresponsabili.

Proseguendo nella lettura del testo, si può leggere in concreto qual è il programma di riduzione degli apparecchi da qui alla fine del 2017: «L’effetto di questo provvedimento di anticipazione [rispetto a quanto previsto dalla legge di Stabilità 2016] della riduzione di AWP (cioè le slot, ndr) comporta, in meno di un anno, come evidenziato nella tabella di seguito riportata, la riduzione a 264.674 macchine ca (in quanto il 30 per cento si applica ai 378.109 ca apparecchi esistenti al 31 luglio 2015). Considerando che al 31 dicembre 2016 gli apparecchi presenti sul mercato sono 407.323 ca, la riduzione effettiva sarà di oltre il 35 per cento». Se le slot diminuiranno del 30 per cento, i punti di vendita del gioco d’azzardo, stimati in 100mila lungo tutto il territorio nazionale, dovrebbero dimezzarsi, però in tre anni.

Dal punto di vista della pubblicità, le proposte del governo sono più tiepide rispetto a quanto si auguravano le associazioni “no slot, che chiedono la totale abolizione di qualunque forma di pubblicità. Nel testo l’argomento compare in tre punti. Uno relativo alla «eliminazione di immagini eccessive che inducano al gioco» all’interno dei luoghi di gioco. Si parla poi genericamente di una «drastica riduzione degli spazi pubblicitari», mentre si invoca «l’apertura di un confronto a livello europeo per favorire una legislazione comunitaria omogenea sulla pubblicità». Continueremo dunque a essere spinti verso il gioco, ma meno di prima.

In merito alla scelta delle parole, il presidente della Consulta nazionale antiusura, monsignor Alberto D’Urso, fa notare come negli atti del governo si continui a utilizzare la formula “gioco pubblico”, invece che “gioco d’azzardo”. «Sin d’ora rimarchiamo l’inaccettabile reticenza – scrive D’Urso –, rinnovata dagli estensori del testo dell’Intesa, nel denominare qual “gioco d’azzardo” quell’oggetto che essi indicano con la grottesca espressione “gioco pubblico”. È un “particolare” rivelatorio della credibilità che i cittadini potranno dal canto loro attribuire ai decisori pubblici». In effetti, nel testo della bozza l’espressione “gioco d’azzardo” è sempre seguita da “patologico”, ed è utilizzata solo per descriverne gli effetti negativi. Quando si parla in maniera neutra di regolamentazione, si torna a dire “gioco pubblico”. In altre sedi D’Urso fa notare che non basta ridurre le slot, ma bisogna andare più a fondo e «puntare a ridurre il consumo di gioco d’azzardo». Sembra una sottigliezza, ma non lo è. Ed ecco un altro rilievo: «Il problema è che non si toccano le videolottery, che sono capaci di incassare dieci volte di più di una slot machine e tante altre tipologie di giochi d’azzardo». Bene quindi che il cambio di rotta sia stato innescato, ma i margini per fare di meglio sono molto ampi.

Fonte foto: flickr