Microsoft e Alphabet stanno investendo molto nei sistemi di intelligenza artificiale, con l’obiettivo di integrarne le funzioni nei loro motori di ricerca, rispettivamente Bing e Google. Tale integrazione dovrebbe avvenire trasformando l’attuale esperienza di ricerca su internet in un dialogo simile a quello che si può avere con un chatbot testuale. Tutti ne abbiamo esperienza: i più sfortunati avranno testato quelli dei siti web di compagnie telefoniche e simili; quelli più fortunati potrebbero aver fatto qualche esperienza di “dialogo” con ChatGPT, il sistema di OpenAI che sta alla base di Bing (quello sviluppato da Google si chiama Bard).

Il problema è che, nonostante le speranze e l’apparente efficienza dei sistemi più avanzati, il loro livello di accuratezza è ancora piuttosto discutibile, per cui è improbabile che, almeno nel breve periodo, i chatbot potranno sostituire i motori di ricerca. Certo è anche vero che oggi l’esperienza di ricerca su Google o Bing è spesso frustrante, perché la qualità dei risultati è sempre più influenzata da pagine promozionali che sfruttano i “punti deboli” dei motori di ricerca per dare visibilità ai propri contenuti.

Ma torniamo ai chatbot: in un video promozionale, racconta un articolo sull’Atlantic, il chatbot Bard di Google ha commesso un grosso errore di astronomia, sbagliando di oltre un decennio la data in cui è stata scattata la prima foto di un pianeta al di fuori del nostro sistema solare, il che ha fatto crollare le azioni della società madre fino al 9 per cento. Anche la dimostrazione dal vivo del nuovo Bing, che incorpora una versione più avanzata di ChatGPT, è stata costellata di imprecisioni. «Anche se gli ultimi mesi hanno fatto credere a molti che l’intelligenza artificiale sia finalmente all’altezza del suo nome – scrive l’Atlantic –, i limiti fondamentali di questa tecnologia suggeriscono che si tratti nel peggiore dei casi un’illusione fantascientifica, nel migliore di un progressivo avanzamento accompagnato da un vortice di bug».

Microsoft e Google prefigurano un futuro in cui i motori di ricerca utilizzeranno l’intelligenza artificiale per sintetizzare le informazioni e metterle in prosa, ma la piena realizzazione di questa visione potrebbe essere un obiettivo lontano e la strada per raggiungerlo molto tortuosa: i programmi che attualmente guidano questo cambiamento, noti come “modelli linguistici di grandi dimensioni” (Large language models), se la cavano bene nel generare frasi semplici, ma sono piuttosto scarsi in tutto il resto.

Per funzionare, questi modelli analizzano enormi quantità di testo da diverse fonti – libri, pagine di Wikipedia, giornali, post sui social media – e poi usano questi dati per prevedere quali parole e frasi hanno più probabilità di combinarsi. Modellano quindi il linguaggio esistente, il che significa che non possono proporre idee “nuove”. Inoltre, il fatto che si affidino a regolarità statistiche significa che tendono a produrre delle “brutte copie” delle informazioni originali.

Chatbot come ChatGPT non capiscono il mondo fisico o come usare la logica, sono pessimi in matematica e, cosa più importante per la ricerca su Internet, non sanno verificare i fatti. Sono noti gli episodi di “fake news” da essi generate per spiegare fatti sulla base di fonti inventate, o la riproposizione di stereotipi e pregiudizi come dati di fatto.

Lo sviluppo di questi sistemi avviene in grande riservatezza e non sappiamo se Google e Microsoft stanno bluffando oppure no. Forse, suggerisce ironicamente l’Atlantic, la prossima versione del modello linguistico di OpenAI, GPT-4, risolverà magicamente questi problemi. Ma le prove attuali suggeriscono il contrario.

La conclusione è che, come per tutte le grandi innovazioni tecnologiche (o presunte tali), ci vuole prudenza. La ricerca di informazioni e la riflessione non devono lasciare il passo alla voglia irresistibile di rincorrere la “next big thing” sfornata dalle grandi aziende tecnologiche.

(Foto di Levart_Photographer su Unsplash)

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