La pervasività dell’inglese come “lingua franca” di comunicazione nel mondo è particolarmente evidente nel mondo scientifico. Questo ha degli indubbi vantaggi, perché permette di accedere e scambiare una grande quantità di materiale, altrimenti incomprensibile, studiando una sola lingua.
Ci sono però anche degli aspetti negativi, che riguardano sia i contenuti della conoscenza prodotta in ambito scientifico, sia le dinamiche della comunità scientifica.
Dal primo punto di vista, in diversi campi della scienza ci si chiede quali possano essere le conseguenze di rendere “universali” fenomeni che si misurano solo su persone di madrelingua inglese. Gli studi sul funzionamento della mente umana, per esempio, sono fatti principalmente in questo modo. Come spiega un articolo su Wired, gli scienziati iniziano a chiedersi se la lingua che ognuno parla (e in cui pensa) non abbia degli effetti sulla sua percezione del mondo. Se così fosse, sarebbe scorretto allargare all’intera umanità i meccanismi cognitivi osservati su partecipanti che provengono da una sua fetta relativamente piccola, ossia chi parla l’inglese come lingua madre.
Dal punto di vista della carriera accademica, svolgere attività di ricerca può essere difficile per i ricercatori e le ricercatrici la cui lingua madre non è l’inglese. Un gruppo di scienziati di Australia e Stati Uniti ha provato a misurare l’entità di questa difficoltà, e ne ha pubblicato i risultati sulla rivista PLOS Biology.
Gli autori dello studio, spiega un articolo su Le Monde, hanno intervistato 908 ricercatori di scienze ambientali di otto nazionalità (Bangladesh, Bolivia, Nepal, Nigeria, Ucraina, Spagna, Giappone e Regno Unito), scelte per le loro disparità economiche e per i diversi livelli di conoscenza dell’inglese.
Ai partecipanti è stato chiesto di quantificare lo sforzo necessario a svolgere le diverse attività scientifiche quotidiane. In media, un ricercatore di madrelingua diversa dall’inglese impiega il 46,6% di tempo in più per leggere un articolo se il suo livello di inglese è medio, e il 90,8% in più se il suo livello è scarso. Anche la scrittura richiede più tempo.
I ricercatori non di madrelingua inglese, spiega Le Monde, hanno una probabilità 2,6 volte maggiore di vedere rifiutati i loro articoli dalle riviste scientifiche per motivi linguistici, un grave svantaggio in un settore sempre più competitivo. Oltre alla barriera della pubblicazione, la mancanza di conoscenza dell’inglese può anche essere un ostacolo all’integrazione nella comunità scientifica. Rinunciare a partecipare o ospitare conferenze per questo motivo è piuttosto comune per i ricercatori non anglofoni, soprattutto all’inizio della carriera.
Il solo apprendimento dell’inglese non è di per sé sufficiente a eliminare le disparità. Rimangono alcuni ostacoli, non ultimo la difficoltà di rispettare lo stile accademico imposto dalle riviste scientifiche. Un docente sentito da Le Monde ha sottolineato che un articolo scritto in un inglese bello ed elegante contribuisce a una maggiore visibilità, mentre quando si scrive in una lingua diversa dalla propria, lo stile risulta meno convincente. Di conseguenza, anche i concetti espressi possono perdere forza.
Vincent Larivière, docente dell’università di Montréal, sottolinea che i risultati dello studio spiegano in parte la sovrarappresentazione degli autori anglofoni nelle pubblicazioni scientifiche: «In riviste come Nature o Science, che pretendono di essere internazionali, la percentuale di pubblicazione di articoli provenienti dagli Stati Uniti è estremamente elevata», ha detto. «L’innovazione scientifica spesso proviene dalla periferia. Per aprire nuove strade nella scienza, è fondamentale avere una maggiore pluralità di prospettive».
Per compensare questi effetti negativi, gli autori avanzano diverse proposte. La prima è incoraggiare l’uso di strumenti di intelligenza artificiale, come ChatGPT, per facilitare il lavoro di traduzione dei ricercatori. Una soluzione che però molti ritengono inadeguata, perché non risolve il problema dello stile accademico. Secondo Larivière, le riviste devono essere più inclusive: «Devono accettare forme di inglese con standard più bassi e fornire servizi di traduzione gratuiti agli autori non anglofoni. Altrimenti, si stanno alzando barriere economiche all’ingresso».
(Foto di Clarissa Watson su Unsplash)
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