Quando si parla degli effetti avversi dei vaccini, bisogna considerare che una parte di essi sono dovuti a un fenomeno conosciuto come “effetto nocebo”, ossia la “versione negativa” del più celebre effetto placebo.

Com’è noto, infatti, durante gli esperimenti per testare nuovi vaccini (così come nuovi farmaci), gli scienziati dividono i partecipanti in due gruppi. A uno dei due sarà effettivamente somministrato il vaccino, mentre all’altro sarà iniettata una sostanza inerte (solitamente una soluzione salina), detta placebo. Per evitare interferenze in questo processo, tutto ciò avviene in “doppio cieco”, ossia né i partecipanti né i medici sanno se quello somministrato è il vaccino o il placebo. Ciò che accade in alcuni casi, però, è che anche tra coloro che ricevono il placebo si osservino degli effetti collaterali, dovuti a condizionamenti legati a paure e pregiudizi. Allo stesso modo, si può osservare un effetto dovuto a tali condizionamenti, e non a vere e proprie reazioni misurabili dell’organismo, in chi effettivamente riceve il vaccino. In questo caso, l’effetto prende il nome di “effetto nocebo”.

Nel caso del vaccino contro il COVID-19, secondo uno studio pubblicato su Jama Network, di cui scrive il Guardian, «più di due terzi degli effetti collaterali comuni che le persone sperimentano dopo un vaccino anti COVID-19 possono essere attribuiti a una versione negativa dell’effetto placebo piuttosto che al vaccino stesso».

Alcuni ricercatori statunitensi hanno esaminato i dati di 12 studi clinici, scoprendo che l’effetto nocebo è alla base di circa il 76 per cento di tutte le reazioni avverse comuni dopo la prima dose di vaccino, e di quasi il 52 per cento dopo la seconda dose. Lo studio non ha esaminato gli effetti collaterali gravi e rari come i coaguli di sangue o l’infiammazione del cuore, ma solo appunto quelli cosiddetti “comuni”, cioè quelli vissuti dalla maggior parte di coloro che hanno riscontrato un qualche tipo di effetto collaterale, e che molti foglietti illustrativi del vaccino elencano come le reazioni avverse più comuni.

I risultati suggeriscono che una parte sostanziale degli effetti collaterali più lievi, come mal di testa, stanchezza e dolore al braccio, non sono prodotti dai componenti del vaccino, ma da altri fattori scatenanti dell’effetto nocebo, tra cui l’ansia, l’aspettativa e l’errata attribuzione di tali disturbi alla somministrazione del vaccino.

La conclusione dei ricercatori è ovvia quanto importante: «una migliore informazione pubblica sull’effetto nocebo può migliorare l’adozione del vaccino anti COVID-19, riducendo le preoccupazioni che rendono alcune persone esitanti». È un po’ desolante dovere ancora sottolineare aspetti tanto banali a due anni dall’inizio della pandemia, ma tant’è.

Analizzando i risultati dei 12 test clinici, i ricercatori hanno rilevato come dopo la prima iniezione più del 35 per cento di quelli nei gruppi placebo abbiano sperimentato i cosiddetti effetti collaterali “sistemici”, come mal di testa e stanchezza, con il 16% che ha riportato disturbi specifici della zona interessata dall’iniezione, tra cui dolore al braccio o arrossamento o gonfiore.

Come previsto, coloro che hanno ricevuto una prima iniezione di vaccino hanno avuto più probabilità di sperimentare effetti collaterali. Circa il 46 per cento ha riportato sintomi sistemici e due terzi hanno sperimentato dolore al braccio o altri sintomi localizzati.

«Quando i ricercatori hanno esaminato gli effetti collaterali dopo la seconda iniezione – scrive il Guardian –, hanno scoperto che il tasso di mal di testa o altri sintomi sistemici era quasi il doppio nel gruppo del vaccino rispetto al gruppo placebo, al 61 e 32 per cento rispettivamente. La differenza era ancora maggiore per i disturbi locali, raggiungendo il 73 per cento tra coloro che avevano il vaccino e il 12 per cento nel gruppo placebo».

La risposta però, secondo Ted Kaptchuk, lo scienziato che ha firmato lo studio come autore principale, non dev’essere una minore informazione rispetto agli effetti collaterali, bensì il contrario. «La maggior parte dei ricercatori sostiene che i pazienti dovrebbero essere informati meno sugli effetti collaterali per ridurre la loro ansia», ha detto. «Penso che questo sia sbagliato. L’onestà è la strada da percorrere».

(Foto di Diana Polekhina su Unsplash )

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