Sulla tossicità di alcuni alimenti o prodotti che si usano in campo alimentare (come erbicidi e pesticidi), si alternano annunci catastrofici e smentite prudenti. La politica cerca di stare nel mezzo, prendendo decisioni che rivelano una certa confusione, come nel caso del glifosato nella votazione del Parlamento europeo. Ne parla Marcello Lotti sulla Domenica del Sole 24 Ore.
La complessità del mondo in cui viviamo inevitabilmente ci porta a credere in quello che ci dicono. Ma i messaggi che ci arrivano sono spesso confusi, talvolta contradditori. Un recente esempio è dato dalle valutazioni del rischio di contrarre il cancro legato all’uso di un erbicida, il glifosato, e da una conseguente votazione del Parlamento europeo. L’Agenzia internazionale della ricerca sul cancro (Iarc) afferma che il glifosato è probabilmente cancerogeno per l’uomo, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) conclude invece che probabilmente non lo è. A quest’ultima conclusione è giunto recentemente anche il Joint meeting on pesticides residues (Jmpr) che come Iarc è parte delle attività dell’Organizzazione mondiale della sanità. Infine il Parlamento europeo, alla scadenza dell’autorizzazione vota a maggioranza la richiesta alla Commissione di estendere gli usi del glifosato per 7 invece che per 15 anni.
Iarc basa il giudizio su alcuni studi epidemiologici caso-controllo che mostrano un’associazione positiva tra esposizione a glifosato e linfomi non-Hodgkin (un gruppo di neoplasie maligne delle cellule linfoidi) anche se non esclude che possa essere dovuta al caso, a errori o fattori di confondimento. Inoltre, in due studi sui topi è stato osservato un aumento di tumori maligni. Efsa e Jmpr considerano invece che l’evidenza epidemiologica di un’associazione tra glifosato e linfoma non-Hodgkin sia limitata e nell’insieme non conclusiva per una correlazione causale o una chiara associazione tra glifosato e cancerogenicità nell’uomo. Anche gli studi sugli animali non sono indicativi perchè viziati dalla somministrazione di dosi eccessivamente elevate che causano altri effetti tossici e solo secondariamente a questi il cancro. Sull’analisi dei dati disponibili le due agenzie si scambiano accuse di omissioni ed errori e non c’è che esserne sconcertati considerando che le valutazioni sono basate sullo stesso data-base. Da questo si ricava in realtà che la maggior parte degli studi epidemiologici sono negativi. Gli studi di cancerogenicità sui ratti sono negativi e sui topi mostrano risultati incoerenti. Quelli di genotossicità in vivo sono anche negativi.
Necessariamente le valutazioni dei rischi legati all’uso di sostanze derivano da un intreccio tra scienza e affermazione di valori che porta a compromessi tra limitata comprensione degli effetti tossici e necessità di intervento. Ne consegue però che pregiudizi, ideologia e irrazionalità possono trovare spazio in accomodanti malleabilità di giudizio. La domanda da porsi è quindi: quanta scienza e quanto (pre)giudizio si combinano? Dai rapporti tra queste componenti derivano diverse conclusioni. Non c’è quindi da meravigliarsi troppo se gli scienziati, valutando il data-base del glifosato, hanno opinioni diverse ma bisognerebbe anche capire come vengono cooptati o esclusi e soprattutto se le loro conclusioni vengano sottoposte alla consueta prassi di peer-review, cosa che non avviene per i risultati dei gruppi di lavoro Iarc. C’è anche da domandarsi perchè Iarc sia adusa a comunicare in modo perentorio le valutazioni, nel caso del glifosato basate su labili indizi, che possono creare incomprensioni, sconcerto e suscitare polemiche come successo per la carne lavorata (cancerogena per l’uomo) e quella rossa (probabilmente cancerogena per l’uomo). Fortunatamente precisazioni, distinguo e pareri di esperti hanno già riportato alle giuste dimensioni un fatto che coinvolge gran parte dell’umanità. La comunicazione dei rischi ha quindi altrettanta importanza quanto la loro valutazione e soprattutto ne determina la percezione perchè, come dimostrava Umberto Eco, la percezione dei fatti viene diversamente influenzata se vengono dati maggiori dettagli e se le circostanze vengono comprese. Del resto già Raymond Queneau illustrò nei suoi Esercizi di stile come uno stesso fatto possa venir raccontato in modi diversi, mantenendo il significato ma determinando percezioni diverse.
Infine, la decisione del Parlamento europeo è poco comprensibile. Dal punto di vista della salute pubblica qual è il senso di ridurre da 15 a 7 anni la durata del suo impiego? Se il glifosato fosse cancerogeno per l’uomo ne andrebbero banditi gli usi come anche, applicando il principio di precauzione, se vi fossero seri dubbi. Se invece non è cancerogeno perchè la riduzione a 7 anni? Un voto forse dettato da qualche compromesso tra rischi e benefici di varia natura o da necessità di approfondimento, oppure perchè come disse Henry Kissinger, uno che se ne intende, il politico è incapace di apprendere qualcosa che vada contro le sue convinzioni?
C’è anche da porsi molte altre domande. Come vengono trattati nelle valutazioni di rischio i valori della scienza, in particolare quelli legati all’aderenza ai fatti e alla coerenza dei risultati? Deve forse cambiare qualcosa nel valutare la causalità epidemiologica e nei postulati usati negli studi di cancerogenesi negli animali, quale ad esempio quello di somministrare la massima dose tollerabile per amplificare un’eventuale risposta cancerogena? Certamente la cancerogenicità di una sostanza viene rappresentata al fine di intervenire e l’intervento avviene alla luce della rappresentazione. Ma cosa succederebbe qualora si scoprisse che il cibo quotidiano contiene una gran varietà di sostanze naturali dimostratesi cancerogene nei roditori? Acido caffeico nei vegetali, furfurale nel pane bianco, cumarina nella cannella, 8-metossiprosalene nel prezzemolo e altri. Quanti studi epidemiologici saranno intrapresi e quali decisioni prenderà la politica? Al momento sappiamo che le popolazioni che hanno avuto accesso negli ultimi decenni a questi cibi (carne compresa) hanno anche visto allungare la loro aspettativa di vita.
In conclusione, osservando ad esempio che asbesto, salami e salsicce sono classificati da Iarc nello stesso modo riguardo alla cancerogenicità, quello che potrebbe accadere e forse sta già accadendo è qualcosa di simile al paradosso di Cassandra per cui anche valutazioni razionali non verranno credute. Gli effetti potrebbero essere disastrosi.
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