Data l’opportunità decisiva rappresentata dal PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per il paese, sarebbe stato logico aspettarsi un largo coinvolgimento del Terzo settore su alcuni temi. Il piano fu però elaborato in una fase di grave emergenza seguita alla pandemia di Covid-19, e quindi allora si disse che non c’era tempo per predisporre percorsi partecipativi. Il piano fu elaborato dal governo, allora guidato da Mario Draghi, e “calato dall’alto” sui soggetti che poi avrebbero dovuto emettere i bandi per la presentazione di progetti a cui devolvere i fondi ricevuti. «Il Terzo settore è sì correttamente evocato nel testo del Piano – si legge in un report elaborato da Forum Terzo Settore e Openpolis –, ma non effettivamente coinvolto nella sua concreta attuazione, svelando nei fatti un preoccupante disconoscimento agli Ets di un ruolo davvero proattivo e partecipativo sia nella fase di elaborazione che in quella di progettazione e di implementazione dei bandi di interesse».
Stiamo parlando di oltre 200 miliardi di euro, tra prestiti ed erogazioni a fondo perduto, una parte dei quali per misure che hanno direttamente a che vedere con ambiti in cui il Terzo settore ricopre un ruolo fondamentale. «Forum Nazionale Terzo Settore e Openpolis hanno individuato almeno 58 tra misure e sottomisure di interesse per il terzo settore – scrive Openpolis –. Tali interventi hanno un valore complessivo pari a circa 40,3 miliardi di euro. I settori di intervento sono molteplici: dall’ambiente alla cultura, dallo sport all’istruzione». In particolare, spiega sempre Openpolis, le categorie supportate dallo strumento sono «gli anziani (specialmente quelli non autosufficienti), le persone con disabilità e i senza tetto e senza fissa dimora. Persone che rappresentano una fetta non trascurabile della popolazione e che hanno sofferto più di altri durante il Covid».
È noto però che l’Italia ha una cronica difficoltà nello spendere i fondi a disposizione, per imbuti burocratici e carenze organizzative nelle istituzioni territoriali, ed è quindi in corso una rinegoziazione di alcuni criteri che dovranno regolare l’erogazione delle prossime tranche di pagamento.
Come sappiamo però, dalla pandemia in avanti le crisi e i momenti di incertezza (dalla guerra in Ucraina all’inflazione agli eventi meteorologici estremi) sembrano susseguirsi a ritmo piuttosto serrato, portando a un clima da emergenza permanente.
Nel rinegoziare con l’Unione europea le modalità di distribuzione dei fondi, il governo in carica da alcuni mesi, guidato da Giorgia Meloni, sta dunque adottando lo stesso approccio seguito inizialmente: lavorare “a porte chiuse”, senza costruire un percorso partecipativo, nel nome della situazione emergenziale.
Secondo il report elaborato da Forum Terzo Settore e Openpolis, la prima parte dell’applicazione del PNRR ha riportato risultati ben al di sotto rispetto a quelli che ci si sarebbe potuti aspettare da un’opportunità così importante: «L’assenza di un’azione congiunta, in termini di competenze, visione ed esperienza, tra governo, pubblica amministrazione, parti sociali, Terzo settore e tutte le energie del paese, piuttosto che offrire una risposta efficace e valida ai bisogni delle comunità e permettere al Pnrr di centrare i suoi obiettivi di sviluppo sociale ed economico sui territori, non ha prodotto i risultati auspicati già nella sua prima fase di attuazione».
Sarebbe bene tenere conto di questa analisi nel prosieguo di questo tortuoso percorso, per fare in modo che non si riduca ulteriormente la capacità del paese di usare il PNRR come punto d’appoggio per iniziare un rilancio su diversi fronti.
(Foto di Azzedine Rouichi su Unsplash)
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