Da anni viene denunciata la diminuzione di importanza del ruolo del Parlamento rispetto a quello del governo. La pratica della decretazione d’urgenza usata come scorciatoia per evitare l’iter parlamentare delle leggi è stata usata da esecutivi di ogni colore politico, col risultato che Camera e Senato sono state in parte svuotate dalle loro funzioni. Ultimamente, sembra che si siano svuotate anche nel senso più letterale del termine. Secondo un articolo pubblicato dalla Stampa, quello che viene definito il “popolo del trolley” si dedica ai lavori in aula solo per «un giorno e mezzo alla settimana». Così dichiarano i pochi deputati presenti in Transatlantico un giovedì pomeriggio. Ricordiamo che la “settimana corta”, da martedì a giovedì, è prevista dai regolamenti di Camera e Senato, affinché i parlamentari abbiano la possibilità, durante il resto della settimana, di fare attività sul territorio, incontrando i cittadini.

Questo tipo di articoli-denuncia si ripresenta ciclicamente sui giornali: quando c’è bisogno di riempire qualche spazio nella pagina, il solito ritornello dei deputati fannulloni torna sempre comodo. E i politici sono sempre disponibili ad annunciare cambi di rotta e impegni personali affinché i lavori si facciano più serrati. Dal passato recente emerge una promessa di Matteo Renzi del 2014, in cui l’allora presidente del Consiglio minacciava di costringere le aule a lavorare 5 giorni su 7. Quasi tre anni al governo non sono bastati per mantenere l’impegno. Di un anno fa invece la “strigliata” di Giorgio Napolitano: «Deputati e senatori dovrebbero lavorare di più, perché le 30/40 ore che ogni settimana dedicano alla vita parlamentare non sono sufficienti a dedicare uno spazio serio e decente al lavoro delle commissioni».

In realtà, come spiega il blog OpenPolis, è difficile tenere traccia con precisione delle presenze in Parlamento, perché ci si può basare solo sulle votazioni elettroniche. Non vi sono “cartellini” all’ingresso e all’uscita che certifichino la presenza dei vari deputati: la loro partecipazione ai lavori si può desumere solo dalle votazioni elettroniche. Un sistema che però non garantisce massima trasparenza, visto che nelle commissioni «non sono istituzionalizzate le votazioni elettroniche. Questo da un lato non ci permette di capire chi sia responsabile di quali decisioni, dall’altro ci impedisce di analizzare i dati delle presenze nelle commissioni, vero cuore del processo legislativo. Il lavoro delle commissioni parlamentari rimane quindi escluso dalla possibilità di monitoraggio completo e di analisi».

Ecco perché l’associazione OpenPolis ha avviato una campagna per proporre una riforma in questo senso del regolamento delle camere affinché sia tutelata la trasparenza nei confronti dei cittadini. Un dovere sancito anche dalla Costituzione, che all’articolo 64 stabilisce che le sedute parlamentari «sono pubbliche», e all’articolo 72 specifica che è compito del regolamento parlamentare prevedere «le forme di pubblicità dei lavori delle commissioni». Questi passaggi non sono invece stati recepiti pienamente dai regolamenti, che separano l’attività dell’Assemblea da quella degli altri organi.

Sembra un aspetto laterale rispetto alle priorità del Paese, ma sarebbe invece un segnale molto importante di apertura verso i cittadini affinché si sappia qual è l’andamento dei vari provvedimenti in discussione (se ce ne sono). Siamo in una fase molto confusa per la politica italiana, in cui (tanto per cambiare) si parla principalmente di elezioni anticipate e scissioni. Forse anche per questo il Parlamento è entrato in un momento di scarsa attività. Ci aspettiamo grande frenesia quando, a fine febbraio, si comincerà la prima discussione relativa alla modifica della legge elettorale. Allora ci saranno da decidere le regole della prossima partita e allora siamo certi che si vedranno meno trolley al mercoledì. Ma se davvero funziona così, non sta diventando un po’ troppo autoreferenziale il meccanismo?

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