Da alcuni giorni nel mondo del volontariato e dell’associazionismo, ma non solo, si discute di un questionario distribuito ai caregiver familiari del comune di Nettuno (area metropolitana di Roma) per accedere ai servizi a loro dedicati. Nel questionario, che nelle intenzioni avrebbe dovuto valutare il carico oggettivo, psicologico, fisico, sociale ed emotivo (percezione soggettiva) delle persone che si occupano di familiari non autosufficienti, comparivano infatti delle formulazioni piuttosto controverse.
Le persone dovevano per esempio valutare da 0 (per nulla) a 4 (molto) frasi quali: «Sento che mi sto perdendo vita»(?), «Mi sento in imbarazzo a causa del comportamento del mio familiare», «Mi vergogno di lui/lei», «Provo dei risentimenti nei suoi confronti», «Non mi sento a mio agio quando ho amici a casa».
A guardare la scansione del documento comparsa su alcuni siti web, si può notare come si tratti del Caregiver Burden Inventory (CBI), uno strumento di auto-valutazione risalente al 1989 e tuttora usato nella ricerca scientifica per studiare l’auto-percezione dei caregiver rispetto alla propria condizione. Come tutti gli strumenti di ricerca, anche il CBI ha certamente i propri limiti, ma ipotizziamo che qui il problema sia più che altro di contesto. Le persone si accingevano a richiedere l’accesso a un servizio assistenziale da parte del proprio Comune, non a partecipare a una ricerca scientifica. Immaginiamo che rivelare a un ricercatore, in forma anonima, le proprie emozioni più intime sia diverso da comunicare a un ente locale le stesse informazioni assieme alle proprie generalità. Per non parlare della stranezza di alcune frasi che denotano una certa sciatteria nella traduzione in italiano (vi è mai capitato di dire “sento che mi sto perdendo vita”?).
C’è stato chi, come il presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish), Vincenzo Falabella, non ha risparmiato parole forti, chiedendo di «intervenire immediatamente ritirando quei questionari e, nel caso, anche di intervenire amministrativamente nei confronti di coloro i quali hanno dato il via a tale campagna finalizzata a corrispondere quattro soldi che sembrerebbero essere elargiti come premio alla virtù piuttosto che a soddisfare un bisogno essenziale. Da parte nostra abbiamo già attivato le interlocuzioni necessarie con la Regione e i Comuni coinvolti, attraverso FISH Lazio, per il ritiro immediato di quell’atto. Di sicuro, questa volta, non basteranno le semplici scuse da parte delle amministrazioni coinvolte».
Più in linea con le nostre considerazioni i commenti di Marco Rasconi, presidente di Uildm: «“Invece di chiedere ‘quanto ti vergogni del tuo familiare?’ si poteva chiedere ‘quanto l’ambiente esterno ti fa pesare la disabilità del tuo familiare?’. Il tema che si indaga è lo stesso, ma senza alimentare pregiudizi e stigma”. Allo stesso modo, sarebbe stato diversissimo indagare tali questioni di persona, dentro un dialogo empatico, e non con un impersonale questionario “che per esempio non tiene conto del fatto che le cose sul piano psicologico sono molto diverse per il caregiver che ha ricevuto la comunicazione della diagnosi da un mese o per quello che vive questa situazione da tempo”».
Un altro aspetto sottolineato da Rasconi è l’ingenuità di tale operazione, che denota il mancato coinvolgimento di persone e associazioni che da decenni si occupano di questi temi: «Perché un’amministrazione nel 2022 deve atteggiarsi a pioniere, facendo da sola un questionario su questi temi, senza coinvolgere le nostre realtà? Dopo tutti questi anni [non] si può più apprezzare il fatto che comunque c’è stato un segnale di attenzione a un argomento così delicato: se il risultato è goffo, io ho il dovere di dire che questa cosa è stata fatta male e con almeno dieci anni di ritardo rispetto al linguaggio e alla concezione della disabilità. Coinvolgeteci prima, l’appello è sempre questo».
Anche Anffas ha fatto commenti e analisi simili, sottolineando come non sia accettabile che un’amministrazione comunale somministri un questionario inadeguato al tema da indagare, per giunta con una traduzione incerta che rende le formulazioni particolarmente bizzarre. E fa notare che, paradossalmente, questa polemica si deve a una novità positiva, ossia il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo di cura del caregiver familiare da parte della regione Lazio. Una norma regionale apprezzabile che però, nella sua applicazione, ha finito per distinguersi per il suo pressapochismo piuttosto che per le sue ricadute positive.
(Foto Dominik Lange di Unsplash)
Col sangue si fanno un sacco di cose
Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.