“Lotto marzo” è un calembour che ha funzionato bene non solo per la giornata di protesta in favore dei diritti delle donne, ma anche per la lotta al gioco d’azzardo. Il Tar di Brescia ha infatti respinto il ricorso di vari soggetti contro il Comune di Bergamo, che a luglio dell’anno scorso aveva emanato un regolamento per limitare l’erogazione dei giochi in alcune fasce orarie. I ricorrenti denunciavano la perdita economica causata dalle politiche del Comune, mentre quest’ultimo portava avanti la propria determinazione nel proteggere i cittadini da un’eccessiva esposizione al gioco d’azzardo e alle sue conseguenze (economiche, psicologiche, sociali).
Prima di addentrarci nella questione, va detto che per il gioco d’azzardo (anche) il 2016 è stato un anno particolarmente proficuo, sia per i gestori sia per lo Stato (che dalle giocate preleva alcune tasse): «Il 2016 – scrive Vita – si è chiuso con l’ennesimo record di di fatturato del mercato delle scommesse (con un controvalore del giocato pari a 96 miliardi di euro, +8 per cento rispetto al 2015)». Si tratta dunque di un’industria che muove cifre davvero notevoli, su cui lo Stato si appoggia per recuperare risorse, cosa che lo mette in una posizione per lo meno controversa.
La sentenza del Tar è storica perché riconosce che un amministratore pubblico è legittimato a regolamentare un’attività economica che si svolge sul proprio territorio, se dimostra di agire per tutelare la salute e il benessere dei propri cittadini. Ed è proprio ciò che ha fatto l’amministrazione di Giorgio Gori, che ha avuto l’accortezza di muoversi non sulla base di convinzioni ideologiche precostituite, bensì su uno studio basato su dati concreti relativi alla realtà bergamasca. La decisione presa l’estate scorsa è stata dunque quella di stabilire che in alcune fasce orarie (dalle 7,30 alle 9,30, dalle 12 alle 14 e dalle 19 alle 21) a Bergamo non sia possibile fare scommesse, comprare gratta&vinci, giocare alle slot e praticare tutte quelle attività che confluiscono nel cosiddetto convenience gambling (che si potrebbe tradurre con “gioco d’azzardo a portata di mano”). «Secondo il Comune di Bergamo e il sindaco Gori – spiega ancora Vita – questa semplice “rottura” temporale in una dinamica di vendita/consumo che non è solo senza barriere fisiche all’accesso (l’azzardo viene venduto ovunque), ma anche immersivo (senza soluzioni di continuità temporale), potrebbe interrompere la compulsione che si trova alla base della maggior parte dei casi di patologia individuale e relazionale generati dal convenience gambling».
Certo non dev’essere stato facile per l’amministrazione costruire la propria analisi, visto che un’altra questione controversa in merito al gioco d’azzardo è la scarsa disponibilità di dati da parte delle istituzioni locali. Le informazioni sul fatturato da gioco sono raccolti dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, che dipende dal Ministero dell’economia. Anche i concessionari hanno a disposizione questi dati, che potrebbero essere facilmente trasmessi anche agli enti territoriali. Sarebbero dati importantissimi da mettere a disposizione di studiosi, ricercatori, medici e associazioni. Forse in questo potrebbe avere un effetto il cosiddetto Freedom of Information Act: pur con tutti i suoi limiti (di cui abbiamo parlato nell’articolo linkato), sarebbe interessante provare ad appellarvisi per sbloccare questi documenti. Il Tar, nelle motivazioni della sentenza, fa riferimento a questa asimmetria informativa, sottolineando comunque la bontà delle politiche della città di Bergamo: «I dati che il Comune ha potuto acquisire, nonostante la limitata esibizione di essi da parte dell’Agenzia e, in particolare, gli studi epidemiologici elaborati non solo con riferimento all’intero territorio nazionale, ma anche con specifica attenzione al territorio comunale, appaiono sufficienti a integrare le condizioni per l’esercizio del potere che il Comune ha utilizzato in un’ottica cautelare, di tutela della salute pubblica, per rispondere a un’esigenza di risposta resasi più pressante per l’impressionante dato relativo alla spesa pro-capite per il gioco d’azzardo nella città di Bergamo, non contestato, nella sostanza, da parte ricorrente. (…) L’adozione del regolamento risulta, dunque, essere una scelta ponderata e maturata, operata sulla scorta dei preoccupanti dati reperiti, pur con i limiti propri di ogni indagine statistica, ma, di fatto, non smentiti dalla documentazione prodotta in atti».
Per completezza, va detto che i ricorsi relativi a due particolari giochi (10eLotto e gratta&vinci), presentati dalla Federazione italiana tabaccai, sono stati accolti in quanto si tratta di attività gestite in regime di monopolio da parte dello Stato (dunque un ente territoriale non può regolarne i contorni). Nonostante ciò, si tratta senza dubbio di una sentenza che può aprire la strada a politiche simili anche in altri Comuni. Resta da capire, caso per caso, quale sia la reale volontà di provarci.
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