Dopo la visita di Papa Francesco a Lampedusa e l’“infortunio retorico” del vicepresidente del Senato Roberto Calderoli a proposito del ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge, i giornali sono tornati a parlare di immigrazione, anche se non sempre in maniera appropriata. È bene infatti fare alcune distinzioni e fornire qualche numero. Lo faremo appoggiandoci a un articolo pubblicato da Maurizio Ambrosini su lavoce.info. Egli parte da una domanda che circola spesso tra chi teme l’“invasione” straniera: ma non è opportuno porre dei limiti agli ingressi? Per rispondere bisogna definire meglio questi “ingressi”, perché si può trattare di persone in cerca di asilo, oppure di liberi cittadini di altri Paesi che vengono in Italia per trovare un lavoro. Nel primo caso, abbiamo il dovere di accoglierli. Non c’è bisogno di appellarsi al Papa o altri soggetti competenti a parlare di principi morali ed etici. È la Costituzione a dirlo: dobbiamo dare accoglienza. E con essa anche altri trattati internazionali che abbiamo sottoscritto e ratificato, nessuno dei quali prevede un limite numerico oltre il quale il nostro Paese è autorizzato a respingere a priori. Le richieste di asilo sono esaminate e accolte o respinte da alcune commissioni territoriali, sulla base delle motivazioni e delle prove fornite.

Veniamo ai numeri, che, vi anticipiamo, sono ben più modesti di quando si voglia fare credere. Nel 2011 sono state vagliate 25.626 domande di asilo. «Di queste solo 2.057 hanno ricevuto pieno accoglimento, con il riconoscimento dello status di rifugiato. Considerando però le altre forme di protezione previste (protezione sussidiaria e protezione umanitaria), si arriva a 10.288 persone accolte nel nostro paese, pari al 40,1 per cento dei richiedenti (ministero dell’Interno, 2012)». Nessuna invasione quindi, dato che, per fare un esempio, la Germania nel 2011 accoglieva 572mila rifugiati, l’Italia 58mila. Una volta decisa l’accoglienza, questa diventa un obbligo per lo Stato: si può discutere su dove trovare i fondi, non sul resto.

Per quanto riguarda l’immigrazione motivata da necessità economiche, entrano in gioco logiche diverse, e i sistemi di selezione o espulsione ci sono. Qui Ambrosini individua quattro problemi. Il primo è la contraddizione tra politica e mercato. Negli ultimi 25 anni sono state emanate diverse sanatorie perché sembrava ci fosse un bisogno illimitato di risorse da parte dei datori di lavoro. Quindi meglio avere tutti in regola, anche se entrati “da clandestini”. Ora di questo non si parla più, perché con la crisi sono diminuite le necessità, ma anche le immigrazioni per ricerca di lavoro, ancora in barba alla sindrome da invasione: anche gli immigrati guardano i telegiornali. C’è poi una questione normativa: molti immigrati sono cittadini dell’Unione europea, e non si possono in alcun modo “cacciare”. Anche qui, c’è poco da discutere, ogni cittadino europeo è libero di muoversi come gli pare nei Paesi dell’Unione, ed è una conquista alla quale ci sentiamo molto attaccati.

Terzo problema è quello economico: le espulsioni costano. Servono personale, mezzi di trasporto, accordi con i Paesi di provenienza. Costa molto meno cercare di creare le condizioni per una convivenza civile e pacifica qui da noi, piuttosto che cercare di chiuderci nei confronti dello “straniero”. A questo è collegata la quarta questione, ossia la possibilità che un immigrato compia un reato. Secondo uno studio della fondazione Rodolfo Debenedetti, ha molta più probabilità di essere denunciato per un reato un immigrato irregolare (sedici volte di più), rispetto a un regolare (i cui dati sono allineati con quelli della popolazione italiana). Quindi, paradossalmente, sarebbe proprio la limitazione dell’accoglienza, e non una sua estensione, a generare la necessità di un maggiore investimento in sicurezza, e non il contrario. Mentre poniamo queste riflessioni a chi ci legge (e a chi si occupa della cosa pubblica), ci chiediamo come mai sia così difficile per alcuni accettare che un ministro della Repubblica abbia origini congolesi (Kyenge è italiana, qualcuno forse l’ha dimenticato), e ci chiediamo quale sia la reazione degli stessi quando a segnare un gol per la nazionale italiana sia uno che si chiama Mario Balotelli.