Spesso ci diciamo che molti dei problemi dell’Italia sono dati dalla mancanza di risorse da investire, dall’altissimo indebitamento dello Stato che pesa su qualsiasi iniziativa che renda possibile un salto in avanti al paese, soprattutto sui temi e le aree geografiche in cui è più urgente fare progressi. I problemi che stanno riguardando l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) dimostrano però che la mancanza di fondi è solo una parte del problema, forse non la principale.

Così come accade per altre forme di finanziamento concesse dall’Unione europea, l’Italia sta avendo problemi a spendere le risorse stanziate attraverso il PNRR. Col risultato che una parte consistente dei finanziamenti potrebbe non essere erogata, se non recuperiamo in fretta il ritardo accumulato.

È un bel paradosso per un paese che avrebbe bisogno, soprattutto in alcune zone, di importanti interventi di ampliamento e ammodernamento dei servizi. Per esempio, il PNRR garantirebbe grandi risorse per la costruzione di asili nido, ben 4,6 miliardi di euro che permetterebbero, spiega un articolo uscito ieri sulla Stampa, «la creazione entro il secondo semestre 2025 di ben 264.480 nuovi posti pubblici negli asili italiani in modo da raggiungere il target minimo della copertura del 30% delle richieste delle famiglie e contribuire così a conciliare i tempi famiglia/lavoro e a sostenere la natalità». C’entra, come per tutti i progetti in ritardo, l’aumento dei costi delle materie prime. Ma non è solo quello, tanto che la Corte dei conti ha parlato di «inadeguata risposta degli enti locali».

La sintesi di Openpolis rispetto al quadro più generale del PNRR conferma l’idea che siano in corso forti ritardi dovuti all’incapacità di spendere da parte dell’Italia. «Nella Nadef (Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza) si stima che dei circa 191,5 miliardi di euro che l’Ue ha assegnato al nostro paese, soltanto 20,5 circa saranno spesi entro la fine dell’anno in corso. Considerando l’intero percorso del Pnrr sin qui (quindi anche con i dati relativi al 2021) la spesa complessiva avrebbe dovuto ammontare a 33,7 miliardi di euro circa. Con riferimento specifico al 2022 invece, possiamo osservare che il Def prevedeva una spesa totale di circa 29,4 miliardi di euro, 14,4 in più rispetto a quelli riportati nella Nadef (15 miliardi). Per recuperare il tempo perso il nostro paese dovrà quindi spendere molti più soldi nei prossimi anni. Nello specifico: 40,9 miliardi nel 2023, 46,5 miliardi nel 2024, 47,7 miliardi nel 2025 e 35,6 miliardi nel 2026».

È abbastanza comune, quando si è in ritardo con una scadenza intermedia, promettere che si recupererà il tempo perduto nelle fasi successive. Bisogna però fornire qualche garanzia che dia credibilità alla promessa. Cosa possiamo offrire in questo senso, visto che i problemi che ritardano l’uso delle risorse sono ormai strutturali?

Servirebbero riforme altrettanto strutturali, peraltro non impossibili da attuare e molto meno onerose dei tanti “bonus” che caratterizzano questa fase storica della politica italiana. Peraltro qui ci siamo concentrati solo sui problemi di spesa delle risorse, ma anche sui “milestone” richiesti dal Piano non siamo messi benissimo. Come scrive ancora Openpolis, «38 milestone e target da completare nel quarto trimestre, 15 sono a buon punto, quindi a un passo dal completamento, ma ben 23 ancora in corso, cioè interventi avviati ma lontani dalla loro realizzazione. Solo 13 scadenze su 51 risultano invece completate».

(Foto di Tabrez Syed su Unsplash)

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