Quando si parla di libertà di stampa in Italia, spesso non si centra il punto e si perde l’occasione di affrontare un tema serio e importante. La retorica del “bavaglio” è stata sfruttata per anni, soprattutto a partire da quando l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi, a metà degli anni ‘90, ha portato al centro dell’attenzione – non senza ragioni – la questione del “conflitto d’interessi”.
Il tema è poi entrato e uscito dal dibattito, a seconda dei provvedimenti che i vari governi e maggioranze parlamentari hanno preso per limitare, ad esempio, la pubblicazione di atti giudiziari. La questione è complessa e, volta per volta, ognuna delle due parti (“i media” e “la politica”) ha avuto quote di ragione e di torto, ma l’alto livello di partigianeria ha sempre impedito un confronto pacato e nel merito delle questioni.
A causa di questo andamento altalenante e organizzato per tifoserie, si è perso di vista che le limitazioni alla libertà di stampa, almeno nei sistemi democratici, spesso sono più sfumate e difficili da cogliere. In un regime autocratico, come stiamo vedendo sempre di più in Russia, non ci si fanno troppi problemi a mettere al bando giornali, associazioni, gruppi di attivisti. Le garanzie previste dai sistemi democratici ci mettono al riparo, per fortuna, da azioni tanto inaccettabili. Allo stesso tempo, però, la tentazione del potere (in qualunque sua forma) di mettere a tacere le voci scomode o contrarie ai suoi interessi non si assopisce mai del tutto.
Per questo motivo esistono leggi, organismi, sistemi giuridici volti a tutelare la stampa da ingerenze esterne, e al contempo a proteggere i cittadini, le istituzioni e ogni forma di organizzazione in ambito democratico da eventuali atti persecutori da parte dei media.
Nessun sistema di tutela potrà mai però impedire del tutto il verificarsi di situazioni scorrette e, per quanto efficienti e sofisticati possano essere i meccanismi riparativi, questi non potranno mai ripristinare del tutto le situazioni precedenti a un incidente.
Tra gli strumenti spesso usati per limitare, seppure in forma meno visibile, l’attività dei giornalisti, ci sono le cosiddette querele temerarie, conosciute a livello internazionale come SLAPP (Strategic lawsuit against public participation). Queste consistono nel querelare una testata o un giornalista per qualcosa che ha pubblicato, adducendo un qualche tipo di danno subito per quella pubblicazione (eventualmente anche senza contestarne la veridicità). Non importa poi che alla querela segua l’azione legale vera e propria, o chi tra l’accusa e la difesa abbia la meglio nel caso in cui ci sia un processo. Affinché una SLAPP abbia successo può bastare che tolga tempo, energie e risorse (anche economiche, perché un processo costa, anche se lo si vince) alle persone accusate. Una delle sue ricadute, se anche non dovessero essere riscontrate irregolarità, è che da quel momento in poi i giornalisti e le testate coinvolte probabilmente ci penseranno molte volte prima di scrivere nuovamente su questo o quel personaggio, azienda, partito politico, ecc. Allo stesso modo, altre testate e giornalisti potrebbero risultare intimiditi dall’azione temeraria, prevedendo che la stessa cosa possa accadere a loro.
Nel frattempo, in maniera invisibile ma preoccupante, le libertà di stampa e d’informazione si comprimono, senza che per questo vengano intaccate le leggi, i codici, le istituzioni. Una sorta di soft power dalle ricadute molto pesanti, visto che una democrazia funziona solo se i suoi cittadini sono informati.
Posto che in questo momento il luogo più difficile in cui fare informazione in Europa resta probabilmente l’Ucraina, in cui già diversi giornalisti e operatori dei media hanno perso la vita dall’inizio dell’invasione russa, il problema della libertà di stampa riguarda anche l’Italia. Ne sta facendo le spese in questi giorni il quotidiano Domani, nella cui redazione hanno fatto irruzione i Carabinieri per “sequestrare” un articolo che conteneva informazioni (peraltro di pubblico dominio e acclarate) su un rappresentante sindacale giudicato vicino a un esponente del governo. Al di là dell’immancabile aspetto tragicomico della vicenda (come si fa a “sequestrare” un articolo disponibile online?), non è certo un bel messaggio che si dà al mondo dell’informazione italiana. Peraltro non si tratta della prima azione legale ai danni di Domani negli ultimi mesi, come fa notare il Mapping Media Freedom Monitoring Report 2022.
L’anno scorso sono stati 45 gli alert emessi per l’Italia dal meccanismo Media Freedom Rapid Response, che hanno riguardato 71 giornalisti. Gli attacchi verbali e fisici restano la minaccia principale per i giornalisti nel nostro paese, si legge nel report, ma anche il continuo ricorso a cause per diffamazione e querele temerarie desta preoccupazione. A giudicare dalla mappa che monitora la situazione in tempo reale, non va meglio nel 2023, visto che a oggi ci sono già state 19 segnalazioni relative a 33 giornaliste e giornalisti minacciati.
(Foto di Filip Mishevski su Unsplash)
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