Secondo un’analisi comparativa condotta dal Cergas Bocconi in partnership con Spi-Cgil, volta a identificare i tratti distintivi e le problematiche specifiche del nostro welfare, non è che in Italia manchi l’assistenza; anzi, ce n’è un po’ per tutti, ma l’intensità degli interventi è piuttosto bassa. La ricerca conferma in realtà un dato su cui già avevamo forti sospetti, ossia che il nostro Paese è tra quelli che spendono meno per garantire lo stato sociale dei propri cittadini. Sarebbe però sbagliato pensare che, a fronte di questo, siamo anche il Paese in cui meno persone godono di assistenza. È infatti piuttosto ampio il bacino d’utenza che gode del diritto all’assistenza, ma questa si limita spesso a un contributo in denaro che va a integrare il budget delle famiglie, che poi sono costrette a elaborare da sé il modo di assistere le persone che ne hanno bisogno. Venendo ai numeri, si scopre che «l’Italia spende sensibilmente meno per il welfare degli altri Paesi europei: con un ammontare totale di 7.055 euro per residente non siamo molto distanti dai 7.303 euro del Regno Unito, ma risultiamo ben lontani dai 9.008 euro della Germania e dai 10.011 euro della Francia. La spesa per il welfare in Italia rappresenta il 27,1 per cento del pil e il 53,6 per cento della spesa pubblica, un dato percentuale superiore a quello destinato dal Regno Unito (26,3 per cento del pil e 50,6 per cento della spesa pubblica) ma sensibilmente inferiore a Germania (28,4 per cento del pil e 63,3 per cento della spesa pubblica) e Francia (32,7 per cento del pil e 58,5 per cento della spesa pubblica).

Guardando alla composizione, l’Italia è il Paese con la quota maggiore di spesa per le pensioni e il secondo in termini percentuali per integrazione al reddito e sussidi contro la disoccupazione, mentre è il Paese con la quota minore di spesa per le politiche famigliari, per l’infanzia e l’adolescenza, conciliazione famiglia-lavoro e per le politiche abitative». Questa propensione alla spesa per gli anziani si accompagna al fatto che siamo tra le popolazioni in cui l’età media si sta alzando più velocemente. Le poche risorse investite vanno quindi per la maggior parte all’assistenza per la terza età e molto meno agli strati di popolazione che potrebbero invertire questa tendenza, ossia giovani e famiglie. Con le difficoltà economiche che stiamo attraversando, la propensione a formare nuovi nuclei familiari e avere figli è in costante diminuzione, e un aiuto da parte dello Stato potrebbe cambiare fare la differenza. Passando invece alla questione del numero di persone coinvolte dall’assistenza, in rapporto a quanto si spende per ciascuna di loro, si può dire che «I dati di spesa e servizi per la non autosufficienza e la disabilità mostrano un’apparente incongruenza: per quanto riguarda le risorse a disposizione, l’Italia si classifica ultima nel confronto con gli altri paesi, con 558 euro pro capite per singolo residente (7,91 per cento della spesa per il welfare) contro 963 euro nel Regno Unito (13,19 per cento), 912 euro in Germania (10,13 per cento) e 841 euro in Francia (8,4 per cento). Ma se ci si concentra sui beneficiari degli interventi (in-kind o cash), l’Italia si colloca al primo posto con 2.165.070 beneficiari (il dato include indennità di accompagnamento, anziani in residenziale e anziani in semi-residenziale), contro 1.377.000 nel Regno Unito, 2.041.800 in Germania e 1.200.000 in Francia».

L’Italia offre una risposta a oltre il 95 per cento degli anziani non autosufficienti e disabili stimati, contro il 44 per cento di Regno Unito, 65 per cento di Germania e 49 per cento di Francia. Si tratta per lo più di contributi economici e infatti, per fare un esempio, «l’assistenza domiciliare integrata in alcune realtà italiane lombarde ed emiliane varia da due a quattro ore a settimana, contro un equivalente di nove-dodici ore nel Regno Unito». Un altro nodo da sciogliere è poi quello del rapporto tra gestione centralizzata e locale dell’assistenza. L’Italia, nonostante la grande indipendenza territoriale dei propri enti locali (le regioni italiane sono paragonabili ai Länder tedeschi in fatto di autonomia decisionale), ragiona e si muove prevalentemente a livello nazionale. Su quest’ultima evidenza (ma su tutto il sistema in generale) occorre quindi una profonda riflessione. È infatti necessaria, come si dice nell’articolo de Lavoce.info da cui abbiamo tratto i dati, una ricomposizione delle risorse, tra quelle trasferite dallo Stato al territorio, e quelle proprie dei singoli bilanci di Asl ed enti locali. La frammentazione abbatte infatti le potenzialità di intervento, abbassando qualità e intensità del servizio offerto.