Analizzare fatti come quelli accaduti sabato a Roma comporta un grave rischio, ossia la tentazione di condannare o assolvere tutti, come fossero parte un unico gruppo omogeneo. Ma non è così, e purtroppo a fare le spese dei pochi violenti che hanno rovinato la festa sono coloro, la maggior parte, che erano in piazza per manifestare innanzitutto un disagio e una protesta verso le disuguaglianze create dal sistema economico in cui siamo intrappolati. Il 29 luglio, su questo blog, parlavamo dell’esperienza degli indignados spagnoli, quelli che il 15 maggio scorso hanno dato il via al sit-in che ha puntato i riflettori dei media sui giovani e sulla loro rabbia verso un sistema che li tiene ai margini, privandoli di un futuro. Una rabbia composta, che ha permesso alla protesta di proseguire per giorni, mesi, spargendosi a macchia d’olio in diverse città della penisola iberica, ponendosi come esempio da seguire anche in realtà simili, come l’Italia. Il momento di farsi sentire è arrivato sabato, non solo nel nostro ma in 82 Paesi nel mondo, per un totale di 951 città indignate. Purtroppo, in una sola di queste si sono avuti incidenti gravi, con atti di violenza vandalica intollerabili e da condannare senza appello.
Sembra lontana anni luce la protesta dello Zuccotti Park, occupato pacificamente a New York da alcuni giorni. La polizia aveva pianificato uno sgombero, giustificato dal fatto che gli accampati stavano sporcando gli spazi pubblici. Gli indignati hanno risposto armati di rastrelli e sacchi dell’immondizia, pulendo il parco e vanificando il tentativo della polizia. Gli arresti ci sono stati, ma la vicenda non ha spostato il focus, saldamente puntato sulle ragioni della protesta, piuttosto che sugli scontri. Da noi no. E viene da chiedersi perché, come fa Mario Calabresi su La Stampa.it, e si risponde così: «Da noi accade ancora perché non abbiamo mai preso (uso il plurale perché dovrebbe farlo la società tutta) le distanze in modo netto e definitivo dalle pratiche violente. Perché siamo i massimi cultori del «Ma» e del «Però», che servono a giustificare qualunque cosa in nome di qualcos’altro. Per guarire dovremmo eliminarli dal vocabolario. Smettere di relativizzare la violenza perché, a seconda dei tempi, a giustificarla c’è il regime democristiano, quello berlusconiano, l’alta velocità o qualche riforma indigesta. […] Ora la rabbia è grande, ma state sicuri che tra tre giorni quando le forze dell’ordine avranno identificato alcuni di questi ragazzi e un magistrato li indagherà, allora si alzeranno voci pronte a difenderli, a giustificarli e a mettere sul banco degli imputati giudici e poliziotti colpevoli di non capire e di essere troppo severi».
Speriamo si sbagli, perché siamo stufi di doverci vergognare della nostra incapacità di isolare la violenza e tenerla ai margini di una protesta basata su ragioni legittime. Quelle di chi prende atto che alla recente straordinaria globalizzazione economica non è corrisposta «alcuna globalizzazione giuridica, anzi, all’interno dei singoli Stati sovrani è prevalso, quale incentivo allo sviluppo economico, il principio cardine della deregolamentazione, cioè del “non-diritto”», come fa notare Guido Rossi a pagina 14 del Sole 24 Ore di ieri. Che prosegue chiarendo che lo spostamento della ricchezza verso pochi (e in gran parte già ricchi), a discapito di una classe media sempre più risucchiata da nuove forme di povertà, non sia, come ci viene detto da più parti, una conseguenza della legge del mercato e della globalizzazione, ma sia dovuto a decisioni politiche ben precise, citando uno studio condotto sugli Stati Uniti. Ma il discorso si può esportare all’Europa, «dove le politiche attuali per risolvere la crisi sono sempre più dettate dalle Banche centrali e le imposte discipline di austerità van tutte a danno dei disoccupati e dei poveri, ma risparmiano i ricchi». E se le ragioni della protesta sono queste, non possiamo che schierarci a favore, pur prendendo le distanze da ogni forma di violenza, perché indignados lo eravamo ancor prima che il termine fosse coniato, e lo siamo ancora.
E’ evidente che queste frange violente non facessero parte della manifestazione, che senso avrebbe bruciare le auto di persone comuni oppure sfondare vetrate di negozi e porte di case? Bisogna assolutamente fermare questi gruppi che non manifestano per il bene dell’Italia ma solo per la loro sadica voglia di violenza e di protagonismo. Spero che tutti li condannino senza i famosi “ma” e “però”… Io credo che se fosse data alle forze dell’ordine la possibilità di intervenire “pesantemente” contro i violenti si potrebbe evitare tutto questo.
Siamo d’accordo con te Antonio, anche se bisognerebbe agire d’anticipo con un lavoro di intelligence su questi episodi di violenza, ormai largamente annunciati, per neutralizzarli sul nascere. Durante le manifestazioni, quando la tensione sale, è difficile isolare i violenti dai manifestanti pacifici, e talvolta a fare le spese degli interventi delle forze dell’ordine sono persone che non c’entrano nulla con le violenze.