Sulla delibera dell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) in materia di tutela del diritto d’autore su internet, in fase di consultazione e che sarà approvata probabilmente in settembre, sono stati espressi dubbi e osservazioni da molti. C’è chi è più scettico, tanto da definirla norma “ammazza-internet”, come Guido Scorza, presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione, chi è più cauto e attende di leggere il testo definitivo, pur con qualche perplessità. Nel frattempo, la Siae (Società italiana autori ed editori), incaricata di proteggere il diritto d’autore dei suoi iscritti, si è pronunciata a favore della delibera, ponendo retoricamente dieci domande rivolte a chi invece vi si oppone. Sul Post sono state pubblicate altrettante risposte, a firma di Massimo Mantellini, giornalista esperto in materia di tecnologia e web. Ne riportiamo un adattamento, e rimandiamo all’originale per la versione integrale:

1. Perché il diritto d’autore, che fuori dalla rete è riconosciuto, in rete non deve essere remunerato?
Generalizzare si può, ma la stragrande maggioranza dei soggetti che in rete criticano le norme in vigore sul diritto d’autore, la Siae e Agcom, pensano che il diritto d’autore in rete debba essere tutelato. Certo con norme nuove, al passo con i tempi, ma nel frattempo, anche con le vecchie, pensate quando Internet non esisteva.
2. Perché coloro che criticano il provvedimento AGCOM non criticano anzitutto il furto della proprietà intellettuale? Perché impedire la messa in rete di proprietà intellettuale acquisita illegalmente dovrebbe essere considerata una forma di censura?
Il furto della proprietà intellettuale è certamente un reato, su Internet come altrove, ed esistono norme, ampiamente ridondanti, che lo attestano. La censura che in questi giorni è stata spesso citatata in relazione al regolamento Agcom non riguarda questo, semmai il fatto che simili norme in via di approvazione consentiranno di censurare senza troppi scrupoli contenuti di rete che non rientrano in tale tipologia di materiale.
3. Perché dovrebbe risultare ingiusto colpire chi illegalmente sfrutta il lavoro degli altri?
Si tratta di una affermazione vaga e senza molto senso. Tutti noi genericamente sfruttiamo il lavoro altrui, anche quando non paghiamo un centesimo. La diffusione della conoscenza nella nostra società funziona esattamente in questo modo ed è un meccanismo in larga parte svincolato da dinamiche economiche. […]
4. Perché si ritiene giusto pagare la connessione della rete, che non è mai gratis, ed ingiusto pagare i contenuti? E perché non ci si chiede cosa sarebbe la rete senza i contenuti?
Di nuovo, nessuno ha mai detto che i contenuti non devono essere pagati. […] la stragrande maggioranza dei contenuti che gli utenti raggiungono in rete (la ragione stessa per cui la rete esiste) non sono (fortunatamente) tutelati da società come la SIAE ma sono liberamente immessi dagli utenti stessi […]
5. Perché il diritto all’equo compenso viene strumentalmente, da alcuni, chiamato tassa? Perché non sono chiamate tasse i compensi di medici, ingegneri, avvocati, meccanici, idraulici, ecc.?
[…] L’equo compenso forse non è tecnicamente una tassa ma è un aiuto di Stato ad un comparto in crisi, completamente scorporato da meccanismi di tutela del diritto d’autore. Questo aiuto è effettuato, in misura che non ha riscontro in altri paesi, scaricandolo sui cittadini che comprano hard disk, memorie e device elettronici anche non direttamente utilizzabili per la copia privata. […]
6. Perché Internet, che per molte imprese rappresenta una opportunità di lavoro, per gli autori e gli editori deve rappresentare un pericolo?
Sarebbe utile distinguere: per gli autori Internet è una opportunità enorme. Per gli intermediari è invece generalmente un problema. Per gli intermediari che ragionano come ai tempi delle cassette Super8 è un vero incubo. Per gli editori o per società come la SIAE è il pungolo di ampi cambiamenti che spesso questi stessi soggetti negli ultimi anni hanno rifiutato. Per entrambi è, in ogni caso, un punto di svolta.
[…]
10. Perché, secondo alcuni, non abbiamo il diritto di difendere il frutto del nostro lavoro, non possiamo avere pari dignità e dobbiamo continuare a essere “figli di un Dio minore”?
Gli artisti hanno mille ragioni per difendere il proprio lavoro. Una di queste potrebbe essere chiedere come mai in Italia esista una sola società che tutela (male) i loro diritti in regione di monopolio. Una società anomala, da anni ad un passo dal fallimento, con costi altissimi, amplissime inefficenze più volte certificate, ed un simpatico neoeletto commissario straordinario 95enne, dopo che l’ultimo direttore è fuggito improvvisamente senza dirci perchè. Dal 2009 giace in Parlamento un progetto di legge per rimuovere questo monopolio, la cui scomparsa potrebbe finalmente far immaginare nuovi strumenti moderni di ripartizione delle royalties nel mondo digitale. Si potrebbe iniziare da qui. Vediamo se Pippo Baudo è d’accordo”.