Quella del giornalista è una professione che può avere un’accezione molto diversa, a seconda del Paese in cui viene svolta. Tanto più tutelata è la libertà di pensiero e di espressione, tanto maggiore sarà la possibilità di mantenere alti standard di qualità e indipendenza. Almeno in teoria, visto che in Italia dobbiamo fare i conti, spesso, con penne poco libere di esprimersi, o che tendono ad autocensurarsi, anticipando i divieti tacitamente imposti da editori e direttori. Il 3 maggio si è celebrata la Giornata mondiale per la libertà di stampa, istituita dall’Unesco nel 1993. Dal 1997 si riconosce un premio, il Guillermo Cano World Press Freedom Prize, a persone, organizzazioni o istituzioni che si siano spese per la tutela della libertà di stampa, soprattutto dove essa è osteggiata dai governi. Spesso i giornalisti, per non vedere minacciata la propria incolumità, sono costretti a lasciare il proprio Paese e fare richiesta d’asilo in un altro Stato. La necessità di mantenere l’anonimato, porta però spesso i richiedenti asilo a interrompere la professione, facendo così perdere le proprie tracce e condannando la propria storia all’oblio, invece che trasformarla in testimonianza utile, in grado di innescare una presa di coscienza e favorire un processo di democratizzazione dell’informazione per il proprio Paese. Qualcuno che decide però di uscire allo scoperto c’è, e allora è utile conoscere la sua storia.

È il caso di Jean Claude Mbede, giornalista camerunense rifugiato in Italia dal 2008, che si è iscritto all’Ordine nazionale dei giornalisti professionisti. Egli ha reso la propria testimonianza a Valentina Brinis dell’associazione A buon diritto, : «Oggi ho ritirato il tesserino dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Accade a molti, ma non a tutti. E a me era davvero poco probabile che capitasse, perché sono un rifugiato. Mi chiamo Jean Claude Mbede, ho 36 anni, sono un giornalista nato e vissuto in Camerun. Sono arrivato in Italia nel 2008 dopo essere scappato dal mio paese a causa delle inchieste da me realizzate su alcuni membri del governo. La mia fuga è stata progettata dal carcere dove ero rinchiuso e da dove, forse, sarei anche potuto non uscire mai considerate le violenze che i detenuti subiscono. Ho approfittato del permesso per una visita medica per scappare. Prima in Nigeria e poi in Italia».

Una volta raggiunto il nostro Paese, Mbede ha sentito l’esigenza di farsi riconoscere come giornalista, per continuare a esercitare la professione. Difficile però riuscirci, trovandosi in un Paese straniero senza documenti che attestino le competenze e i titoli acquisiti, se non «Permesso di soggiorno, verbale della commissione territoriale che mi concedeva lo status di rifugiato e gli attestati e le dichiarazioni dei giornali e delle agenzie di stampa per cui avevo lavorato in Italia. Dopo un anno e mezzo, nessuna risposta». Qui entra in gioco l’associazione, che segue Mbede nei complicati passaggi tra il ministero degli Esteri italiano e quello del Camerun, nel rimpallo di richieste, attese, difficoltà di comunicazione e vicoli ciechi burocratici. Poi l’annuncio, il 15 marzo 2013, che la domanda di riconoscimento del titolo professionale è stata accolta. Ora il neo-riconosciuto giornalista dovrà vedersela con un problema non meno spaventoso della burocrazia: la disoccupazione. «La storia a lieto fine di Jean Claude è, fino ad oggi, un’eccezione -ha commentato Valentina Brinis, di A buon diritto-. Sono molte le persone che nel mondo fuggono a causa delle persecuzioni subite: tra l’altro, la negazione della libertà di espressione e del diritto di parola. In Italia, si stima che siano numerose decine le persone che, nei paesi di origine, svolgevano attività legate all’informazione e alla comunicazione. In altri paesi europei, come la Francia o la Germania, sono attive strutture dedicate alla loro accoglienza. In Italia non c’è nulla del genere: ecco perché A buon diritto intende promuovere un coordinamento di giornalisti rifugiati e sostenerli nelle vertenze finalizzate a ottenere il riconoscimento della loro professione anche nel nostro paese».