Internet ha aumentato la quantità di informazioni disponibili, spesso in forma gratuita per tutti. Nonostante ciò, quando mancano gli strumenti critici con cui filtrare questa grande offerta, non la si riesce a sfruttare. Anzi, la diseguaglianza culturale aumenta. Un articolo di Francesco Guglieri riflette su questi cambiamenti. Ne pubblichiamo un estratto.

[…] È ormai entrato nel dibattito corrente il tema della diseguaglianza economica che il “carattere distruttivo” del digitale non fa che aumentare?—?i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ma non si parla abbastanza della diseguaglianza culturale e di quanto internet la faccia crescere. La rete è uno straordinario acceleratore della conoscenza?—?quanto e più della stampa?—?ma solo se fin dall’inizio possiedo gli strumenti che mi permettono di controllarne la complessità. Altrimenti?—?ed è così per la maggioranza delle persone?—?affondo in uno tsunami di fake news, complottismi, dati falsi oppure veri ma manipolati per dire l’opposto, fomentatori d’odio, cazzate.

Tempo fa sulla bacheca di un amico ho letto uno scambio tra tre o quattro addetti ai lavori sulla necessità di tradurre i libri di una scrittrice americana che compone piccoli poemetti in prosa, di una riga o due, quasi degli aforismi. Stavo per intervenire: non si traducono perché il pubblico potenziale è già tutto su questa bacheca e probabilmente li hanno già letti in originale! I lettori per la letteratura in traduzione, soprattutto se “di ricerca”, in Italia sono ormai così pochi che la piccola nicchia di chi legge in originale è in grado di influire sulla vita di un libro?—?e prima ancora sulla sua fattibilità e sostenibilità. Questo, per quanto anti-intuitivo possa essere, rende più difficile la vita di chi vorrebbe pubblicarli nel nostro paese e renderli accessibili a un maggior numero di persone.

È sempre esistita un’élite che aveva accesso alla produzione culturale di altri paesi, che poteva viaggiare e comunicare al di là di Chiasso: era una classe cosmopolita di mediatori, intellettuali, accademici, scrittori, scienziati, che poi portavano in Italia “quello che avevano visto” all’estero. Era la cuspide della piramide della produzione culturale, piccola nei numeri ma capace di far arrivare il frutto del suo lavoro al corpaccione e alla base della piramide, impollinatori di un prato a cui accedeva un pubblico vasto, non elitario. Quello che mi pare stia avvenendo oggi è che questa punta della piramide si è senz’altro allargata nelle cifre assolute, perdendo molte delle sue caratteristiche elitarie, ma è come se si fosse staccata dal resto della piramide. Come se si fosse rotta la cinghia di trasmissione tra la nicchia e la produzione di massa di più ampio respiro: quasi che internet avesse arricchito a dismisura le possibilità di crearsi una propria astronave informativa totalmente autonoma, che non ha più bisogno di scambiare dati la superficie. La coda lunga ha prodotto l’esatto opposto di quello che profetizzava Chris Anderson nell’omonimo libro (La coda lunga, Codice edizioni, 2010): non la fine del mainstream ma il suo aumento e sempre più in una coloritura provinciale, insulare. Al contrario le nicchie sono aumentate così tanto da raggiungere dimensioni molecolari, incapaci di qualsiasi influenza.

Non è solo la fine dell’egemonia, dell’idea stessa di un’egemonia in senso gramsciano, ma proprio della conversazione: cosa si dicono questi due paesi? Di cosa parlano se non hanno più nulla di condiviso? A chi si rivolge chi scrive o chi pubblica? Uno scollamento che tra l’altro produce cortocircuiti pericolosi: a cominciare da un risentimento verso le élites culturali (socialmente e economicamente disagiate tanto quanto gli indignati di turno) e che non sfiora quelle economiche e le loro responsabilità. Oppure si arriva, come Stefano Fassina in un tweet del 21 gennaio, a fare del termine cosmopolitismo un polo negativo (“La risposta della sinistra a #Trump non può essere il cosmopolitismo”). Quando invece mi sembra che ora come non mai sia il caso di dire: Cosmopoliti di tutto il mondo, uniamoci!

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