«Oggi ricorre il 15° anniversario della Giornata internazionale della democrazia. Eppure, in tutto il mondo, la democrazia sta arretrando. Lo spazio civico si sta riducendo. Crescono la sfiducia e la disinformazione. La polarizzazione sta minando le istituzioni democratiche. È il momento di dare l’allarme. È il momento di riaffermare che democrazia, sviluppo e diritti umani sono interdipendenti e si rafforzano a vicenda. È il momento di difendere i principi democratici di uguaglianza, inclusione e solidarietà. E stare dalla parte di coloro che si impegnano per garantire lo stato di diritto e promuovere la piena partecipazione ai processi decisionali».

Cominciava così il messaggio del presidente dell’Onu, António Guterres, per la Giornata internazionale della democrazia 2022. Quest’anno infatti ricorre il sedicesimo anniversario, e nel momento in cui scriviamo questo post non sappiamo quale sarà il messaggio di Guterres. Ma ci sembrava rilevante il fatto che, purtroppo, a distanza di un anno quelle parole sono ancora del tutto attuali. Avrebbe potuto essere il messaggio di quest’anno, o dell’anno prima. Forse dell’anno prossimo. Il segretario generale proseguiva poi sull’importanza di una stampa libera per il buon funzionamento della democrazia, dicendosi preoccupato per come gli spazi di indipendenza si stiano riducendo, mentre le minacce e ritorsioni contro testate e singoli giornalisti aumentano.

In Italia abbiamo i nostri problemi da questo punto di vista. Non che ci sia una vera e propria azione di censura nei confronti della stampa, ma la storica abitudine di “spartire” le cariche di nomina politica della radiotelevisione pubblica tra i diversi partiti politici sarebbe un’anomalia in altri paesi, mentre da noi è normale routine. Ci sono giornalisti minacciati dalla criminalità organizzata e non adeguatamente tutelati e protetti. C’è poi il problema delle “querele temerarie”, ossia le cause intentate da aziende e politici contro giornali e giornalisti, che, a prescindere dall’esito processuale, impongono costi e provocano stress negli accusati, inducendoli (ma il messaggio si estende a tutti i media) a non occuparsi più di certi temi. Inoltre quello italiano è un sistema mediatico debole, che dipende ancora molto dalla pubblicità, e che si ritrova spesso a ospitare sui quotidiani articoli palesemente celebrativi verso le aziende che investono in inserzioni sulle stesse pagine. Ne esce insomma un panorama informativo non in salute, che fa venire a mancare un pilastro fondamentale di ogni democrazia.

Guardando fuori dall’Italia, in diversi paesi le cose non vanno meglio. Ogni contesto è diverso ovviamente, ma ci sono vari stati formalmente democratici che lo sono sempre meno. Possiamo ancora chiamare democrazia la Turchia, o l’India? Oppure, per stare più vicini geograficamente, l’Ungheria o la Polonia? In tutti questi casi, formalmente la risposta è sì. Ma è evidente che tutti questi paesi stanno indebolendo (o l’hanno già fatto) le istituzioni indipendenti create proprio per evitare la cosiddetta “dittatura della maggioranza”, come il potere giudiziario e quello legislativo. Si tende a concentrare tutto il potere nelle mani del governo, facendo di tutto per assicurarne la rielezione. I meccanismi restano quelli della democrazia, ma la sostanza è diversa.

Uno dei temi spesso sollevati per spiegare l’arretramento della democrazia è lo scollamento tra politica e popolazione. Quando quest’ultima ritiene che i meccanismi democratici non siano più efficaci, o che siano troppo lenti, si aprono le porte all’arrivo dell’“uomo forte” (espressione già di per sé rivelatrice della visione del mondo che porta con sé).

A nostro avviso, l’antidoto a questa lenta deriva è la partecipazione. La democrazia rappresentativa implica una delega, certo, ma non la totale deresponsabilizzazione dei cittadini. Interessante in questo senso, per scendere in un caso concreto e locale, il Festival della partecipazione in programma a Bologna dal 22 al 24 settembre. «Partecipare è prendersi cura del bene comune con una responsabilità collettiva, ugualmente condivisa, che mira a eliminare le disuguaglianze e promuovere nuovi modelli sociali, economici e ambientali per un futuro sostenibile, in cui persone e comunità siano protagoniste», scrivono gli organizzatori. «L’impatto che si vuole raggiungere […] è contribuire al miglioramento e al presidio della qualità della democrazia, attraverso la partecipazione attiva dei/lle cittadini/e e delle reti civiche di associazioni della società civile e movimenti sociali attivi in diversi settori».

Bologna è una città che ha sperimentato molto in questo senso e, pur con tutte le difficoltà e i limiti di questo tipo di iniziative, potrebbe essere interessante estendere alcune pratiche in altri comuni e su altri piani amministrativi.

(Foto di Chris Slupski su Unsplash)

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