Oggi si festeggia la Giornata mondiale della salute, nonché il 75esimo anniversario della nascita dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità). Il tema di quest’anno è “salute per tutti” (“Health for all”), ma a giudicare dai dati proposti dalla stessa OMS siamo ancora piuttosto lontani dall’obiettivo, nonostante i passi avanti degli ultimi decenni.

Il 30% della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi sanitari essenziali, spiega l’organizzazione, e quasi due miliardi di persone devono affrontare un sistema sanitario in condizioni definite “disastrose”, con disuguaglianze che colpiscono soprattutto nei contesti più vulnerabili.

La copertura sanitaria universale, che consiste nel garantire a tutta la popolazione l’accesso a servizi essenziali di qualità, è indicata come la via per fare uscire le persone dalla povertà. Inoltre promuove il benessere delle famiglie e delle comunità, protegge dalle crisi della sanità pubblica e avvicina verso l’obiettivo della “salute per tutti”.

Uno degli eventi che hanno ostacolato il raggiungimento degli obiettivi è stata la pandemia di Covid-19. A quest’ultima si aggiungono altre emergenze sanitarie, umanitarie e climatiche che hanno colpito diverse parti del pianeta a livello locale. Altri motivi di rallentamento sono state le difficoltà economiche e le guerre affrontate da diversi paesi. «È giunto il momento che i governi agiscano per rispettare gli impegni di copertura sanitaria universale – si legge sul sito della campagna – e che la società civile chieda conto ai propri leader».

Tra gli obiettivi indicati dall’agenzia c’è l’invito a investire in sistemi sanitari solidi, con un aumento dei finanziamenti pubblici per la salute e la riduzione dei costi sanitari a carico delle persone. Si tratta di investimenti necessari anche per la preparazione alle emergenze, su cui c’è ancora molto da fare, come abbiamo tristemente imparato durante la pandemia.

L’OMS raccomanda anche di aumentare le tasse su tabacco, alcol, zuccheri aggiunti e combustibili fossili. Queste tasse portano entrate pubbliche che possono essere investite sulla sanità.

Tra il 2023 e il 2030, l’agenzia prevede una carenza di 10 milioni di operatori sanitari in tutto il mondo. Si rende quindi necessario investire nell’istruzione e nella creazione di posti di lavoro per questo settore.

Su quest’ultimo punto, in Italia c’è un problema di carenza del personale sanitario che, unito al progressivo invecchiamento della popolazione, nei prossimi anni determinerà una situazione di difficile gestione. Peraltro, a causa della burocrazia, sono difficili anche soluzioni tampone come l’assunzione di personale straniero.

Rispetto all’accesso alle cure, una spesa pubblica non sufficiente a coprire le esigenze, e una sempre maggiore apertura al privato, mettono a rischio l’universalità dell’assistenza. Come si legge in un approfondimento sul tema pubblicato su Scienza in Rete, «LEA e LEP (livelli essenziali di assistenza e di prestazioni) sono ormai diritti esigibili per prestazioni non disponibili, in termini di presenza regionale, di tempi d’attesa e di qualità non sufficiente. Infine, i ticket sanitari sono differenziati per regione, pur su LEA identici. Nel 2016, l’Italia era al 6° posto per percentuale di popolazione che non accedeva ai servizi sanitari; nel 2021 tale percentuale è salita all’11%, in tutte le regioni ma soprattutto al Sud. La crisi economica, accentuata dalla pandemia, ha portato alla rinuncia a spendere per la propria salute o all’impoverimento a causa dei consumi sanitari».

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