Una delle conseguenze dell’invasione russa in Ucraina è stata una crisi alimentare che ha colpito i paesi più poveri, con un aumento del costo degli alimenti un po’ in tutto il mondo. Secondo un’inchiesta giornalistica di Lighthouse Reports, supportata da diversi esperti, il problema non è dato tanto da un’effettiva scarsità di cibo, quanto da meccanismi speculativi che, se non opportunamente regolamentati, hanno un effetto sui prezzi reali del cibo.
Come riporta la testata dell’università di Padova il Bo Live, che ha preso parte all’inchiesta, il fatto che sul pianeta ci sia cibo per tutti è noto ed è stato sottolineato anche dal presidente del comitato delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare, Gabriel Ferrero: «Oggi il mondo produce il 150% in più di cibo utilizzando solo il 13% in più rispetto al 1960. Oggi produciamo abbastanza cibo per nutrire una volta e mezzo la popolazione mondiale. Ce n’è già a sufficienza per nutrire 10 miliardi di persone, e siamo per ora solo poco più di 7 miliardi. Ce n’è a sufficienza per tutti. Il problema sta nel nostro sistema alimentare: il modo in cui produciamo, raccogliamo, trasportiamo, processiamo, vendiamo e consumiamo cibo».
Il fulcro della speculazione sta nei cosiddetti futures, uno strumento finanziario che prevede l’acquisto da parte di un compratore di una certa quantità di merce (non disponibile al momento della stipula del contratto) a un prezzo prefissato. L’aspetto speculativo del sistema consiste nel fatto che il compratore, grazie a complesse analisi di mercato, è in grado di scommettere sul fatto che quegli stessi beni, una volta disponibili, avranno raggiunto un prezzo maggiore di quello prefissato, e quindi una volta rivenduti garantiranno un profitto. In questo modo il produttore è sicuro che la sua produzione sarà interamente recepita dal mercato e ne ottiene il pagamento ancor prima di averla realizzata. Il compratore invece avrà un ritorno speculativo dato dalla sua scommessa sull’aumento del prezzo della merce.
In una certa misura, si tratta di un sistema che porta dei benefici. Se il produttore non avesse questa garanzia, forse non sarebbe in grado di portare a termine la produzione, e alla lunga potrebbe esserci una carenza di prodotti sul mercato, oltre a una serie di ricadute a catena in termini di sostenibilità economica delle aziende e quindi di occupazione.
Quando però questi meccanismi non sono opportunamente regolamentati, in particolare se applicati a un settore delicato come quello della produzione di cibo, possono alimentare processi controversi. Secondo gli esperti, questa scommessa sul rialzo dei prezzi contribuisce in realtà a determinare tali aumenti, e in un momento di crisi come quello attuale tale effetto speculativo può portare a un aumento dei prezzi del cibo nonostante non vi sia una reale scarsità di prodotti sul mercato.
Le conseguenze di questa speculazione non si riflettono solo sul portafogli di chi comunque può permettersi di accedere al cibo, ma anche sulla disponibilità di cibo per milioni di persone, che quindi possono ritrovarsi all’improvviso in una situazione di incertezza alimentare.
Come spiega Elisabetta Tola sul Bo Live, «La Banca Mondiale, ad esempio, stima che per ogni punto percentuale di aumento del costo del cibo, dieci milioni di persone finiscono in povertà. Soprattutto nei paesi che dipendono dalle importazioni per soddisfare la domanda alimentare. Anche gli aiuti diventano più costosi: l’aumento del costo del cibo diventa un problema anche per il Programma alimentare mondiale, ad esempio, che vede lievitare il costo delle proprie operazioni di intervento a supporto della sicurezza alimentare. Il numero di chi finisce in povertà ed è a rischio di insicurezza alimentare grazie all’aumento dei prezzi è stimato essere di oltre 70 milioni di persone».
Un ulteriore aspetto problematico legato alla speculazione sul cibo è dato dal fatto che spesso anche fondi che non nascono a fini speculativi, come i fondi pensione, operano in questo settore. In una seconda fase dell’inchiesta collaborativa sono stati analizzati i report di 75 fondi di questo tipo in diversi paesi europei, confrontandoli con la normativa che li regola. In almeno 15 casi (tra cui non rientra l’Italia), nonostante la legge proibisca investimenti speculativi nel settore alimentare, i fondi analizzati vi operano comunque, garantendosi grossi rendimenti e contribuendo a spingere al rialzo il prezzo del cibo, a spese dei più fragili.
(Foto di Vince Veras su Unsplash)
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