I Paesi con una più lunga storia di impegno per l’uguaglianza di genere sono anche quelli in cui si registrano più casi di violenza domestica contro le donne. Il fenomeno viene definito “paradosso nordico”, perché i Paesi in questione sono quelli del Nord Europa. Ne parla Giulia Siviero in un articolo per il Post, di cui riportiamo un estratto.
Secondo i maggiori studi, i paesi che più al mondo rispettano l’uguaglianza di genere sono tutti nel nord Europa: Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia (ma anche Danimarca). Questi paesi, però, sono anche quelli in cui si registra il maggior numero di violenze domestiche contro le donne. Questa contraddizione viene chiamata “paradosso nordico” e si basa su una premessa che viene data per scontata: e cioè che la disuguaglianza di genere sia una delle cause più importanti della violenza contro le donne. È un’opinione supportata dalle organizzazioni che soprattutto a livello istituzionale si occupano di violenza domestica, dalla letteratura internazionale e anche dal senso comune: ed è per questo che le iniziative per prevenire la violenza contro le donne si basano spesso sull’idea che per essere efficaci devono affrontare la disuguaglianza di potere nelle relazioni di genere.
Del paradosso nordico si sono recentemente occupati Enrique Gracia, professore di psicologia sociale all’Università di Valencia, e Juan Merlo, docente di epidemiologia sociale all’Università di Lund, in uno studio pubblicato nel novembre del 2017 sulla rivista Social Science & Medicine. I due professori affermano innanzitutto che – nonostante questo paradosso sia uno dei problemi più sorprendenti all’interno del loro campo di studio – è un tema viene considerato molto poco: non è oggetto di ricerca quanto invece dovrebbe e rimane, di fatto ancora oggi, senza una spiegazione. Il loro articolo suggerisce anche come una migliore comprensione di questo paradosso possa essere fondamentale per capire, prevenire e fermare la violenza contro le donne.
Qualche dato
Ogni anno dal 2006 il World Economic Forum (WEF) pubblica una ricerca che quantifica le disparità di genere in vari paesi del mondo: il Global Gender Gap Report. Il rapporto permette di fare una comparazione tra paesi e individuare i miglioramenti e i peggioramenti nelle disparità di genere in base a quattro criteri: economia (si considerano salari, partecipazione e leadership), salute (aspettative di vita e rapporto tra sessi alla nascita), istruzione (accesso all’istruzione elementare e superiore) e politica (rappresentanza). Va subito precisato che il rapporto non misura la qualità della vita in generale delle donne o il loro livello di libertà – non tiene conto, per esempio, di questioni come il diritto all’aborto o il livello della violenza di genere – ma misura semplicemente il divario quantitativo tra uomini e donne in quattro settori della società. L’ultimo rapporto presenta Islanda, Norvegia e Finlandia ai primi tre posti, la Svezia al quinto, la Danimarca al quattordicesimo (l’Italia è all’ottantaduesimo).
Nello studio pubblicato su Social Science & Medicine da Gracia e Merlo risulta però che nei paesi nordici il 30 per cento delle donne, in media, ha subito violenza domestica: il 32 per cento in Danimarca, il 30 per cento in Finlandia, il 28 per cento in Svezia, il 26,8 per cento in Norvegia e il 22 per cento in Islanda (Norvegia e Islanda non sono membri dell’UE ). Il tasso medio dei paesi dell’Unione Europea è del 22 per cento.
I dati dei paesi nordici sono alti anche per quanto riguarda la violenza in generale contro le donne e non solo la violenza domestica. Portogallo, Italia e Grecia, che sono molto indietro rispetto ai paesi nordici per quanto riguarda l’uguaglianza di genere, hanno tassi molto più bassi di violenza domestica contro le donne. «Siamo un po’ stupiti dalla scoperta di questo tipo di dati», ha detto Enrique Gracia: «Perché le donne dovrebbero essere maggiormente vittime di violenza nei paesi che si sforzano così tanto per diminuire l’oppressione?».
Oltre i dati
Nonostante la percezione diffusa intorno alla qualità della vita nelle nazioni nordiche, e della qualità della vita anche delle donne, nei paesi scandinavi è radicata una cultura ancora profondamente maschilista (che impedisce per esempio alle donne di essere presenti in alcuni settori del lavoro tradizionalmente considerati adatti a un ruolo maschile). La cosiddetta “cultura dello stupro” – una società cioè in cui l’aggressività sessuale maschile è incoraggiata e la violenza contro le donne, anche con il silenzio, è supportata, normalizzata o banalizzata dai media e dalla cultura popolare – è insomma diffusa anche nei paesi del nord Europa. E la storia legislativa dello stupro coniugale ne è un esempio: lo stupro e gli abusi all’interno di una relazione intima sono spesso considerati, secondo un radicato stereotipo che si ritrova anche nelle aule dei tribunali, come una violenza di seconda categoria che si confonde con i doveri coniugali di una donna. La Svezia è stata uno dei primi paesi a criminalizzare lo stupro coniugale negli anni Sessanta, ma la Finlandia lo ha fatto solo nel 1994..
La persistenza di atteggiamenti sessisti risulta poi chiara dalla risposta alle leggi sulla parità di genere: il professor Lucas Gottzen, un ricercatore dell’Università di Linköping, Svezia, ha spiegato alla Harvard Political Review che la maggior parte degli uomini, in Svezia, non ha usufruito del congedo parentale quando le leggi sul congedo parentale sono state approvate, negli anni Settanta: «Ho intervistato alcuni di questi uomini che furono i primi a prendere il congedo parentale negli anni Settanta. Erano guardati dall’alto in basso. Erano visti non come uomini veri». Fino agli anni Novanta, gli uomini svedesi non hanno insomma sfruttato come avrebbero potuto il congedo parentale.
Kevat Nousiainen, professore di diritto comparato e teoria giuridica all’Università di Turku in Finlandia, ha spiegato a sua volta che il caso della Svezia non è un’eccezione e che è molto diffuso un atteggiamento di insofferenza o negazione del fatto che le donne siano discriminate: anzi molte persone affermano che «in realtà sono gli uomini ad avere dei problemi».
(Photo by Giacomo Ferroni on Unsplash)