Oggi si celebra la Giornata mondiale dell’emofilia, una malattia rara, congenita ed ereditaria, dovuta a un problema di coagulazione del sangue.
Di che cosa si tratta lo spiega il sito della Federazione mondiale dell’emofilia: le persone affette da emofilia, si legge, non sanguinano più velocemente del normale, ma possono sanguinare più a lungo, perché il loro sangue non ha abbastanza fattore di coagulazione, una proteina del sangue che controlla questo aspetto.
Ci sono due tipi di emofilia, A e B. Le persone con emofilia A sono carenti nel fattore di coagulazione VIII. Circa 21 maschi su 100 mila ne soffrono a livello mondiale. L’emofilia B, meno comune (colpisce circa 4 maschi su 100 mila), è dovuta alla carenza del fattore di coagulazione IX. Entrambi i tipi di malattia generano gli stessi problemi.
Si parla di maschi perché l’emofilia si manifesta nella stragrande maggioranza dei casi in persone di sesso maschile, mentre le donne sono spesso portatrici sane: possono quindi trasmettere la malattia ai propri figli, ma raramente ne sviluppano i sintomi.
Le forme della malattia possono essere più o meno gravi, in base al tasso di carenza del fattore di coagulazione. Generalmente questo è associato a sanguinamenti più o meno lunghi, ma talvolta ci sono delle incongruenze ed è quindi bene tenere sotto controllo anche le forme più lievi.
Le emorragie possono essere anche interne, quindi, oltre a sanguinamenti particolarmente lunghi anche per piccole ferite, occorre monitorare anche altri sintomi come la comparsa frequente di lividi o sensazioni strane o dolorose ai muscoli o alle articolazioni. Per la diagnosi sono sufficienti delle analisi del sangue che rilevino i livelli dei fattori di coagulazione.
L’emofilia oggi è trattabile con diversi approcci farmacologici. Come spiega FedEmo (Federazione delle associazioni emofilici), i due principali regimi terapeutici sono la terapia “on demand” (su richiesta) e la profilassi. Quest’ultimo consiste in iniezioni in forma concentrata del fattore di coagulazione mancante. In genere, le persone affette da forma grave necessitano di una terapia continua, mentre nelle forme lievi la terapia sostitutiva si effettua generalmente solo in seguito a traumi, o in previsione di eventi come operazioni chirurgiche, estrazioni dentarie, ecc.
Purtroppo, al momento non si può guarire dall’emofilia. La ricerca si sta concentrando sulla terapia genica, che consentirebbe di intervenire in via definitiva sul gene responsabile della scarsa produzione dei fattori di coagulazione. In questo contesto è però molto importante la disponibilità di emocomponenti necessari alla produzione di farmaci specifici. Il fattore di coagulazione presente nei farmaci attualmente somministrati, infatti, «può provenire dal plasma di donatori di sangue o essere di natura sintetica, vale a dire ottenuto con tecniche di ingegneria genetica», spiega il sito ISS Salute.
«Proprio la scelta etica e non remunerata di centinaia di migliaia di donatori ha permesso più volte all’Italia di inviare dosi in eccedenza di questo prezioso medicinale ad altri Paesi che altrimenti non avrebbero avuto modo di curare i propri malati, molti dei quali bambini», si legge sul sito di Avis nazionale.
Rispetto alla diffusione della malattia, gli ultimi dati riportati dal Registro Nazionale Coagulopatie Congenite, aggiornati al 2022, parlano di 9.784 casi di malattie legate all’alterazione di fattori delle coagulazione in Italia. Tra questi si contano 3.651 casi di emofilia, oltre un caso su tre. La tipologia più diffusa è l’emofilia A (2.944 casi), di cui il 44 per cento sono casi gravi.
Per chi volesse approfondire, oggi alle 10,30 il sito di FedEmo ospita un convegno sul tema.
Col sangue si fanno un sacco di cose
Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.