Ha fatto molto discutere il disegno di legge contro le fake news presentato il 15 febbraio in una conferenza stampa dalla senatrice Adele Gambaro (di ALA-SCCLP, ex M5S) e firmato da altri 27 parlamentari. C’è chi sostiene che il testo, nel voler spazzare via “l’odio” dal web, rischi in realtà di portare alla sua censura. Altri fanno notare quanto sia difficile applicare le distinzioni indicate e farle rispettare. Il problema della fake news (e dell’era della post-verità) è continuamente sollevato e dibattuto da qualche mese a questa parte. Soprattutto dopo che un certo tipo di propaganda basata su notizie false ha favorito, si dice, due eventi politici molto importanti del 2016, ossia la Brexit e l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti.
Tornando all’Italia e alla proposta di legge, occorre dire che è un bene che si stia parlando della questione e che qualcuno provi ad affrontarla. Però, come spesso accade, si stanno perdendo di vista i contorni del problema, che non riguarda solo i siti “produttori seriali” di notizie false, bensì anche (e soprattutto) i media tradizionali e le loro estensioni su Internet. Il dibattito (e il disegno di legge lo conferma) si sta concentrando solo sui primi, tralasciando il fatto che i secondi sono una parte centrale del problema.
Il livello di accuratezza e correttezza nella rettifica di notizie false in Italia è bassissimo, e non da oggi. Lo era prima di Internet, lo è ancora di più adesso, quando per non avere “il buco” sulla propria home page i siti di notizie sono portati a “sparare” titoli sensazionalistici in occasione di breaking news, senza applicare una regola imprescindibile per il giornalismo: la verifica delle fonti. Tanto poi si può correggere. Come ha fatto notare a più riprese Luca Sofri, direttore del Post.it, spesso i giornali italiani hanno pubblicato notizie sulla base di informazioni lette (e magari tradotte male) su tabloid inglesi come il Daily Mail (che recentemente Wikipedia ha stabilito di non citare più come fonte).
Un esempio molto grave del clima generale è quello del vaccino Fluad, citato dallo stesso Sofri nel corso di un incontro che si è tenuto lunedì sera all’oratorio san Filippo Neri a Bologna, e riassunto a suo tempo sul suo blog. Era il 2014, ancora non si parlava di fake news, eppure il problema era lo stesso. Siamo sempre restii, e lo siamo anche in questo caso, a mettere in mezzo termini che ormai in Italia sono consumati dall’abuso che ne fa la stampa. Dunque non crediamo che negli intenti del legislatore ci sia una volontà di censura e controllo del web. Più semplicemente, viene da pensare che dietro ai goffi articoli prodotti dagli estensori della bozza ci sia una profonda ignoranza della materia su cui si propongono di legiferare. Il tenore del dibattito del resto non aiuta, visto che i giornali parlano del problema delle fake news come se loro non c’entrassero nulla.
In fondo gli strumenti per combattere le fake news sono già ampiamente previsti dal nostro ordinamento. Che ci sta a fare, per esempio, l’Ordine dei giornalisti? Non dovrebbe vigilare sulla condotta dei suoi iscritti e, nel caso, agire? Nel corso dei decenni, la professione giornalistica si è arricchita di numerosi testi unici e codici di comportamento che dovrebbero mettere ampiamente al riparo i lettori dalla pioggia di notizie false, non verificate, imprecise o esagerate che quotidianamente vengono messe in pagina. Le leggi per contrastare questo fenomeno esistono già, e non aiuterà di certo aggiungere 5mila o 10mila euro di ammenda come deterrente.
Ciò che manca è una cultura della correttezza e della professionalità nella produzione di notizie. Un problema da ascrivere principalmente a chi dirige i giornali, assieme agli editori, più che ai singoli giornalisti. Ci sono molti professionisti che fanno un ottimo lavoro, ma sarebbe miope non voler vedere che il clima generale non è incoraggiante. Nel mondo anglosassone (ma anche in Germania) esiste una distinzione netta tra tabloid e giornali seri: i primi nascono con la vocazione di produrre per lo più “spazzatura”, gli altri fanno informazione con serietà e precisione, chi più chi meno. E in effetti, talvolta, hanno influenzato pesantemente il corso degli eventi con le proprie inchieste. In Italia questa distinzione non c’è, e dunque i giornali si sono fatti carico di ricoprire entrambi i ruoli: un po’ tabloid e un po’ giornali seri. Invece di perdere tempo a individuare nuovi soggetti da punire, sarebbe ora di fare qualcosa per creare una cultura di accuratezza e precisione dentro alla professione giornalistica. Con enorme guadagno per i lettori e per la tenuta della democrazia.
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