Pignoramento è una parola che nessun privato cittadino vorrebbe mai sentirsi dire. Eppure è solo grazie a questa procedura che gli istituti di credito possono rivalersi su chi smette di pagare le rate del finanziamento che ha contratto. E magari evitare di tirare in ballo altre brutte parole, tipo bail-in. In gennaio il governo aveva dichiarato in conferenza stampa che si sarebbe occupato di rendere più agevole queste operazioni per le banche: «Il modo migliore per ridurre le sofferenze delle banche – ha detto Renzi, come riportato da Federico Fubini sul Corriere – è in primo luogo far ripartire l’economia, secondo accelerare le procedure di recupero dei crediti, che è un tema oggetto della nostra attenzione». Poi non si è saputo più nulla.

In merito al pignoramento i governi hanno di fronte due strade: tutelare i cittadini in difficoltà che non riescono a mantenere gli impegni presi, e si trovano quindi impossibilitati a pagare le rate, oppure tutelare gli istituti di credito, facendo in modo che questi non abbiano davanti a sé troppi vincoli nell’impossessarsi dei beni per i quali hanno concesso un finanziamento, ma per cui hanno smesso di ricevere i pagamenti dovuti. È un equilibrio molto delicato, perché da un lato c’è la situazione dei cittadini che, per cause dovute a congiunture storiche, possono improvvisamente trovarsi senza lavoro e, se non possono più pagare le rate, rischiano anche di perdere la casa, l’automobile e tutto ciò su cui avevano contratto un debito. Dall’altro lato c’è la solidità del sistema bancario, che quando concede un prestito è poi legittimato a inserirlo nel proprio bilancio tra le attività, ma se le probabilità che tale credito resti insoluto aumentano, allora il valore di quella voce di bilancio si abbassa vertiginosamente, ridimensionando il valore complessivo dell’istituto, la sua appetibilità per investitori stranieri, ecc.

Come spiega Fubini, un credito inesatto (perché per la banca diventa troppo lungo e oneroso impossessarsi dell’immobile) si ripercuote negativamente sul cliente successivo, che quando chiederà un prestito alla propria banca si vedrà negare la richiesta, oppure gli sarà concessa una cifra minore a un costo più alto: «Più brevi e certi sono i tempi per poter prendere legalmente possesso delle proprietà poste a copertura di un debito in default, più quel credito avrà valore nel bilancio della banca, o più alto sarà il suo prezzo nel momento in cui la banca stessa lo cede a un nuovo operatore. Succede il contrario quando la presa di possesso di un immobile è lenta e circondata dall’incertezza sull’esito finale delle procedure: il valore del credito nel bilancio della banca si deprezza, le perdite su ciascun prestito inesigibile aumentano, quindi l’erosione di capitale si aggrava e probabilmente in futuro l’istituto sarà in grado di concedere meno credito – e più caro – alla prossima impresa o alla prossima famiglia».

Al momento le procedure di recupero in Italia sono tra le più lente e incerte in Europa, con una durata media di oltre sette anni. Dunque la scelta del governo, che sembra orientato a dare più tutela alle banche puntando a ridurre i tempi di recupero, non sembra avventata (sempre ammesso che avvenga, visto che dopo l’annuncio non si hanno notizie). La misura potrebbe avere una certa efficacia anche nello scongiurare il ripetersi di quanto avvenuto recentemente con i quattro istituti salvati attraverso lo strumento del bail-in e la creazione di una bad bank a cui ascrivere i titoli “tossici”. Anche qui la spiegazione di Fubini è molto chiara: «Gli operatori specializzati sono restii a comprare un credito da una banca italiana, perché sanno che in media occorrono sette o otto anni per recuperare una proprietà posta in garanzia. Si spiega così lo scarto di circa il 20 per cento tra il valore di quei prestiti nei libri degli istituti e il prezzo che gli investitori sono pronti a riconoscere. Vendere un credito con i tempi della giustizia civile più lenti d’Europa (il doppio del secondo Paese più lento, la Slovenia) obbliga le banche a praticare sconti. Erode molto il capitale degli istituti e il loro sostegno ai nuovi investimenti, ora che in Italia i crediti deteriorati lordi sfiorano i 360 miliardi di euro».

Era inevitabile adeguarsi alle direttive europee in merito alle regole di salvataggio delle banche (per quanto forse sarebbe stato più corretto informare adeguatamente i risparmiatori), ma è importante anche tutelarsi dal ricorso agli strumenti previsti, dando agli istituti la possibilità di salvarsi prima che arrivino sull’orlo del fallimento.

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