In questi ultimi tempi si stanno susseguendo con impressionante costanza notizie di persone che perdono la vita sulle strade italiane. Pedoni investiti, ciclisti travolti, auto coinvolte in incidenti mortali.
Partiamo dal lato positivo della vicenda: se si prende il dato aggregato e si adotta una prospettiva temporale larga, le strade italiane sono un po’ più sicure rispetto al passato. Ma non arrivano a essere sicure tour court. Secondo dati Istat citati dal Post, «nel 2021 i morti in Italia a causa di incidenti stradali sono stati 2.875». Si tratta di un aumento del 20 per cento rispetto al 2020, che però è un anno influenzato dai lockdown imposti per fare fronte alla pandemia. Più significativo il confronto con il 2019, che «indica invece cali importanti: -9,4% di vittime, -15,2% di feriti e -11,8% di incidenti. Rispetto a vent’anni fa, cioè al 2001, il calo è molto evidente: in quell’anno le vittime da incidente stradale furono 7.096, mentre nel 2011 il numero era quasi dimezzato: 3.860. Da allora però il calo ha subito un netto rallentamento». La situazione, dunque, almeno a livello aggregato, migliora, anche se troppo poco e troppo lentamente.
Gli incidenti che hanno causato la morte di due sportivi, il ciclista 51enne Davide Rebellin e il calciatore 15enne Manuel Ntube, rispettivamente investiti da persone alla guida di un camion e di un suv, non sono purtroppo un’eccezione. «Dal 2018 al 2021 – riporta il Post – in Italia sono morte in media 217 persone ogni anno in incidenti in bicicletta, più di una ogni due giorni, secondo i dati raccolti dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Per il 2022 non esistono ancora stime definitive, ma secondo l’associazione Asaps (Associazione sostenitori e amici della polizia stradale), che si occupa di sicurezza sulle strade, nei primi otto mesi dell’anno sono morte almeno 103 persone in incidenti in bici: è una stima al ribasso, perché prende in considerazione solo le persone morte immediatamente dopo l’incidente (e non chi, per esempio, muore in ospedale dopo alcuni giorni). Con ogni probabilità il numero aumenterà nei calcoli ufficiali».
Il valore ci pone leggermente sotto alla media europea sul numero di incidenti mortali per i ciclisti in relazione alla popolazione, quindi apparentemente niente di cui preoccuparsi troppo. Peccato però che l’Italia sia tra i paesi in cui si usa meno la bicicletta tra quelli europei, quindi il fatto che le vittime siano così tante assume tutta un’altra valenza. Il grafico che segue (guardate solo i punti, la linea non aggiunge alcuna informazione utile) mostra in maniera molto chiara come l’Italia sia il paese in cui le persone camminano meno (grafico a sinistra) e usano meno la bicicletta (grafico a destra), eppure il numero di morti rispetto alla distanza percorsa è largamente il più alto.
In questo modo, fa notare un articolo su Bikeitalia in Italia raggiungiamo il paradosso di mettere assieme due delle più nefaste emergenze mondiali: «La mobilità autocentrica è una delle cause principali di due emergenze sanitarie mondiali che sono l’inattività fisica e la violenza stradale, la prima causa globale di morte sotto i 30 anni di età. L’inattività fisica uccide 6 milioni di persone all’anno nel mondo, e senza invertire la rotta i costi sanitari derivanti da qui al 2030 ammonterebbero a circa 300 miliardi di dollari».
Come scrive invece Ultimo Uomo, «Nel rapporto di Legambiente “Clean Cities – Non è un paese per bici” si legge che “il nostro è il paese europeo dove si registra – ormai da un decennio – la maggiore densità di autoveicoli per 100 abitanti. Nel 2020 erano 67, e in costante crescita da diversi anni”». Anche questo è un fattore che in qualche modo si collega al fenomeno. Più auto in giro si traducono in meno spazio e più pericoli per le bici, oltre che maggiori emissioni di CO2.
Le soluzioni possibili sono tante e le proposte non mancano. Per applicarle però serve, innanzitutto, la volontà politica di promuovere un cambiamento culturale che ci porti a diventare una società meno auto-centrica, in cui i pedoni e le biciclette si riprendano il giusto spazio sulle strade, invece di essere ghettizzati in marciapiedi e piste o corsie ciclabili spesso inadeguati e talvolta pericolosi.
Rispetto alla volontà politica, diverse città hanno stanziato fondi consistenti – anche grazie al PNRR – per promuovere la mobilità ciclabile, come sempre in maniera diseguale nel paese. A livello centrale, però, i messaggi che arrivano sono contraddittori: «Nel 2019 – scrive il Post – il secondo governo guidato da Giuseppe Conte aveva stanziato un fondo da 47 milioni di euro all’anno per tre anni, dal 2022 al 2024, per la costruzione di nuove piste ciclabili, la realizzazione di zone con un limite di velocità di 30 km/h e altre infrastrutture per le biciclette. I 47 milioni del 2022 sono stati regolarmente erogati, ma il resto dei fondi è stato azzerato dal ministero delle Infrastrutture con una nota alla legge di bilancio presentata dal governo Meloni: il ministero non ha ancora chiarito per quali ragioni e se abbia in ponte altri progetti».
(Foto di Nick Belanger su Unsplash)
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