In questo periodo di grande smarrimento, in cui assistiamo a grandi cambiamenti che non si sa bene dove porteranno (Trump, Brexit), la politica italiana sembra sempre più distante dal contesto sociale ed economico di cui dovrebbe occuparsi. Se la buona politica dovrebbe essere quella che vede i problemi e offre soluzioni, quella in grado di partire dalle idee e dai fatti per proporre un’idea di futuro, allora in Italia stiamo assistendo al suo totale fallimento. Vale per l’economia, le politiche sociali, i diritti, la lotta alle discriminazioni. Quando si dovrebbe alzare la voce e prendere posizione si evita di farlo (come nel caso della vicenda di Fabiano Antoniani o del video di Follonica che riprende le donne rom rinchiuse in una gabbia), per paura di perdere consensi.

Il timore di essere bollati come “buonisti” o politically correct ha tolto la voce al buon senso. Il dibattito politico in questi mesi è completamente avvitato su se stesso. Da una parte c’è un centrodestra che (come da molti anni a questa parte) fatica a trovare un leader in grado di prendere il posto di Silvio Berlusconi (ammesso che questi sia intenzionato a farsi da parte), dall’altra nel centrosinistra si è tornati a vivere la stagione delle scissioni, che ciclicamente si alterna alle fusioni. In mezzo c’è il M5S, che ancora deve dimostrare di essere in grado di poter essere un partito di governo, oltre che di lotta. Non sta a noi, ovviamente, schierarci a favore o contro i vari schieramenti in campo. Ci preoccupa però constatare quanto la politica sia occupata a parlare di se stessa e a se stessa.

Sarebbe bello sentire i nostri politici confrontarsi in maniera anche accesa su quali siano gli strumenti più efficaci per contrastare la disoccupazione giovanile, per esempio; o su come fare arretrare la povertà; magari su come riformare l’università e la ricerca in modo che il nostro Paese possa produrre ricchezza scientifica, oltre che economica. Invece ognuno propone il proprio capro espiatorio, la persona o il gruppo di persone responsabili di tutti i mali dell’Italia, e il messaggio sostanzialmente è: «Votate me, così li spazziamo via e torniamo a essere felici». Ma non ci sono soluzioni semplici a problemi complessi. A volte, anzi, bisogna anche accettare che non ci sono soluzioni, ma solo palliativi, in attesa che meccanismi più grandi e su cui non abbiamo controllo tornino a girare nel modo giusto. Non si risolvono i problemi dando colpe (fate voi: all’Unione europea, agli immigrati, all’euro, alla destra, alla sinistra, al centro, ecc.), ma proponendo soluzioni.

In questo clima, viene da pensare con una certa nostalgia a un personaggio quanto meno controverso della politica italiana, scomparso lo scorso anno: Marco Pannella. Con la sua “galassia radicale”, Pannella ha forse intuito in anticipo (dopo avere sperimentato negli anni alleanze tattiche sia col centrodestra sia col centrosinistra) che la politica stava perdendo il proprio ruolo di collettore delle istanze dei cittadini. Così, pur non sciogliendo il Partito radicale che aveva contribuito a fondare, scompose le diverse cause in cui questo era impegnato in una serie di soggetti minori, piccole associazioni che si occupavano di singoli temi. Questa galassia esiste ancora oggi ed è probabilmente più forte del partito da cui si è sganciata (anch’esso in crisi per problemi di leadership e di scissioni), potendo operare al di fuori del Parlamento. Un’operazione di grande pragmatismo politico, che mette le cause davanti all’esistenza stessa del soggetto che dovrebbe portarle avanti. Una visione “liquida” della politica decisamente al passo con i tempi, anche se la sua visione ha poi perso la spinta propulsiva nel corso degli anni.

Ricordare Pannella ci permette anche di interpretare meglio le tipologie di personaggi politici che oggi godono di maggiore popolarità. Nel 1992, anno di Tangentopoli e delle stragi mafiose, Pannella diceva: «Adesso sono di moda i giusti. Loro sono sempre in buona fede. Hanno sempre bisogno di indicare alla plebe chi bisogna impiccare. Non conoscono una delle più belle massime di Pascal: “Chi vuol essere angelo è bestia…”. Ma non dimentico che i santi peccano sette volte al giorno, e che la democrazia ha un bisogno insopprimibile di umiltà. Credo che ogni politico serio dovrebbe ammettere almeno sette errori al giorno. E non scagliare esclusivamente pietre contro gli altri. In politica coloro che scagliano sempre la prima pietra appartengono alla razza dei giustizieri che divorano la giustizia invece di amarla». Ecco, oggi i “giusti” non sono più di moda. O forse è cambiato il concetto di giustizia. Di sicuro sembra che l’egoismo dei piccoli interessi stia prevalendo sul bene delle comunità. L’abitudine a scagliare pietre non è mai stata abbandonata. Invece, il “bisogno insopprimibile di umiltà” della democrazia aspetta ancora di essere soddisfatto.

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